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A Different Man – La nostra recensione del nuovo film con Sebastian Stan! (2025)

A Different Man, scritto e diretto da Aaron Schimberg, con protagonisti Sebastian Stan, Renate Reinsve e Adam Pearson, racconta la storia di Edward, un aspirante attore con deformità facciali che si sottopone a una radicale procedura medica per trasformare drasticamente il suo aspetto. Tuttavia, il suo nuovo volto da sogno si trasforma rapidamente in un incubo: perde il ruolo per cui si sentiva nato e diventa ossessionato dal recupero di ciò che ha perduto.

Il film ha vinto l’Orso d’Argento per la miglior interpretazione maschile alla Berlinale 74, è stato premiato come miglior film ai Gotham Awards ed è stato candidato agli Oscar per il miglior make-up.

Aaron Schimberg ci presenta un’opera fortemente pirandelliana, che esplora il tema dell’identità e delle maschere che tutti noi indossiamo nella vita, siano esse metaforiche o letterali. Un argomento che il regista aveva già affrontato nel 2019 con il suo film d’esordio, Chained for Life.

Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!

La recensione di “A Different Man” sarà strutturata in queste parti: recensione no-spoiler (per chi vuole un primo parere sul film, ma non l’ha ancora visto), recensione spoiler, analisi del finale e concludendo con l’opinione finale riassuntiva.

A Different Man
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Recensione No-Spoiler di “A Different Man”

Edward è un uomo affetto da una particolare deformità facciale: la neurofibromatosi di tipo 1, una condizione che provoca la crescita di tumori non cancerosi sul tessuto nervoso. Il personaggio interpretato da Sebastian Stan conduce una vita solitaria e appartata a causa della sua condizione. Vive in un modesto appartamento, caratterizzato da uno strano buco nel soffitto, dal quale fuoriesce un inquietante liquido nero.

Edward sogna di diventare attore, ma l’unico ruolo che riesce a ottenere è una minuscola comparsa in uno spot televisivo, un’esperienza che lo lascia ancora più frustrato e consapevole di quanto il mondo dello spettacolo sia poco incline ad accogliere qualcuno con il suo aspetto. Nel frattempo, una donna si trasferisce nell’appartamento accanto al suo: Ingrid, interpretata da Renate Reinsve, è un’aspirante scrittrice con l’ambizione di esordire a Broadway.

Tra i due sembra nascere un’amicizia, ma Edward percepisce che Ingrid è turbata, non tanto dal suo aspetto, quanto dal timore di ferirlo con le sue parole o i suoi gesti. Lei si muove con cautela attorno a lui, attenta a non oltrepassare confini invisibili, e questa sua premura, anziché rassicurare Edward, lo fa sentire ancora più diverso e fuori posto.

In una scena Ingrid prova a toccare il volto di Edward, ma questo nonostante apprezzi il gesto lo eviti e lo respinga.

Ad Edward viene proposto un trattamento speciale, attraverso un farmaco sperimentale, che potrebbe cambiargli la vita per sempre. Il farmaco ha effetto e, da quel momento in poi, inizia il suo vero inferno: il suo viso ora è “normale”, si fa chiamare Guy e dichiara che Edward si è suicidato. In un certo senso, lo ha fatto davvero: ha seppellito la sua vecchia identità per rinascere con un volto nuovo e un nuovo nome, ma questa trasformazione lo porta solo a sprofondare in un baratro di insicurezza e alienazione.

A Different Man
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Ciò che colpisce di A Different Man è l’approccio con cui Schimberg racconta la storia: una dark comedy che esplora i temi del fascino, dell’identità interiore e di come ci relazioniamo con gli altri. Il titolo stesso racchiude perfettamente i temi centrali del film, suggerendo una riflessione su cosa significhi davvero cambiare e se un cambiamento esteriore possa davvero ridefinire chi siamo dentro.

A Different Man è la storia della decadenza di un uomo che, dopo aver raggiunto la sua idea di perfezione, si trasforma in realtà in un inetto, un uomo insignificante. Edward/Guy, incapace di accettarsi per ciò che è, decide di diventare un altro, un “uomo diverso”, per conquistare Ingrid.

Sopprime il suo vecchio io per far spazio a un nuovo sé, ma se questa nuova identità non fosse altro che la stessa di prima? A Different Man solleva una domanda profonda, senza risultare didascalico: e se Edward fosse sempre stato così? Un uomo solo, avido e in cerca di attenzione? Persino la scelta del nome “Guy” non è casuale: un nome generico, che suggerisce un uomo qualunque, senza nulla di realmente speciale. Come se l’aspetto tumefatto abbia semplicemente camufatto la personalità di Edward, rendendolo un’altro e lui stesso si sia adagiato su ciò.

L’incontro con Oswald, interpretato da un magnetico Adam Pearson, sembra confermare questa ipotesi. A differenza di Edward/Guy, Oswald vive la sua deformità con serenità: conosce il proprio aspetto, ma non permette che questo lo limiti o lo porti alla disperazione, al contrario di Edward, che ha vissuto la sua condizione con sofferenza per tutta la vita. Oswald è brillante, perspicace, curioso e desideroso di scoprire sempre cose nuove. La sua deformità non lo definisce, anzi, è apprezzato da chiunque lo conosca. La sua capacità di vivere senza vergogna o paura lo rende magnetico agli occhi degli altri, inclusa Ingrid.

Edward/Guy non riesce a comprendere questa realtà. Non ha mai vissuto come Oswald e, paradossalmente, inizia a desiderare proprio ciò da cui era fuggito. Man mano che il film procede, Edward/Guy rimane sempre più colpito dalle azioni, anche le più semplici, di Oswald. Ingrid, circondata da ammiratori e affascinata anche da Guy (ma non da Edward), finisce per innamorarsi dell’originalità e della sicurezza di Oswald, tanto da renderlo protagonista della sua prima opera teatrale: Edward, che è una specie di intepretazione di ciò che Ingrid ha vissuto con Edward. Per Edward/Guy è una beffa crudele: il suo passato, che tanto ha cercato di cancellare, diventa improvvisamente il centro della narrazione di qualcun altro, e lui ne viene escluso.

Lui è nato per quel ruolo, ma non può tornare indietro.

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Aaron Schimberg confeziona un film dal forte sapore pirandelliano, impossibile non pensare a Uno, Nessuno e Centomila. Attraverso una regia semplice ma efficace, ci immerge nella decadenza di Edward, rivelandone la vera natura. Il film trasmette un messaggio chiaro: più si cambia, più si rimane uguali. Edward non potrà mai accettare la sua condizione e decide di “uccidere” metaforicamente quella parte di sé per rinascere come Guy, ma alla fine resta sempre un uomo solo, diffidente e incapace di aprirsi agli altri.

Un oggetto ricorrente, quasi una colonna portante della narrazione, è una macchina da scrivere rossa, che assume un ruolo simbolico all’interno della storia. È lo strumento attraverso cui Ingrid crea, plasma e riscrive le identità (che gli viene regalata da Edward), mentre Edward/Guy resta intrappolato in un limbo esistenziale. La macchina da scrivere diventa il simbolo della capacità di raccontarsi, di prendere il controllo della propria narrazione, qualcosa che Edward/Guy non riesce mai veramente a fare.

Tra i momenti più affascinanti del film spicca la scena in cui Oswald canta, mentre Edward/Guy lo osserva, confuso, rimuginando su ciò che ha fatto, su ciò che ha perso e su quello che non potrà mai più riavere. La sua espressione è un misto di invidia, smarrimento e rassegnazione, perché comprende che Oswald possiede qualcosa che lui non avrà mai: un senso di pace con se stesso. La trasformazione del volto di Edward/Guy è una delle sequenze più disturbanti e impressionanti del cinema indipendente recente, tanto da far sembrare The Substance di Coralie Fargeat una commedia per famiglie.

Voto: 8/10

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Recensione Spoiler di “A Different Man”

Ad inizio film vediamo Edward (non ancora diventato Guy) mentre cammina per strada e incontra un mimo intento a interpretare una statua. Edward lo osserva attentamente, ma il mimo rimane immobile, con gli occhi impassibili. Proseguendo la sua passeggiata, Edward non nota che, poco dietro di lui, il mimo si gira e cambia espressione: quel sorriso infallibile si trasforma in un volto infastidito e confuso.

Schimberg ci propone una nuova prospettiva della stessa scena. Ora Edward è diventato Guy ed è accompagnato da Oswald, e insieme si imbattono nuovamente nello stesso mimo. In questo incontro, Oswald appare visibilmente affascinato, mentre in Edward/Guy si intravede qualcosa di particolare: Sebastian Stan riesce, in qualche modo, a riportare in lui l’esatta espressione che avevamo notato in Edward, ma con una sfumatura diversa. L’espressione, pur lasciando trasparire una vaga curiosità, si fa soprattutto infastidita e provocatoria.

Questa trasformazione potrebbe essere interpretata come una sovralettura; tuttavia, Schimberg sembra suggerirci che, nonostante Edward, ora nei panni di Guy tenti di mostrarsi come una persona curiosa e aperta, la sua essenza profonda non riesce a mutare realmente, contrariamente a quanto invece accade in Oswald. Il cambio di volto del mimo diventa così simbolo di una dualità interiore: da un lato, l’apparenza di un cambiamento, dall’altro la persistenza di una natura che fatica a evolversi.

La scena del mimo non rappresenta soltanto un gioco di espressioni, ma si trasforma in una metafora potente del percorso di trasformazione personale. Essa ci invita a riflettere sul fatto che, a volte, il cambiamento esteriore può nascondere un’inerzia interiore, sollevando domande profonde su cosa significhi davvero evolversi e se l’apparenza possa mai tradire la vera essenza di una persona.

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Analisi del finale di “A Different Man”

Dopo aver ucciso il trainer che Oswald e Ingrid avevano ingaggiato per far tornare a una parvenza di normalità nella sua vita, Edward/Guy rimase in prigione per un paio d’anni, lesse il libro di cui Oswald gli aveva parlato e, ad un certo punto, fu liberato.

È invecchiato, solo e taciturno. Mentre cammina per strada, reincontra lo stesso senzatetto che, all’inizio del film, gli faceva i complimenti per le scarpe; anche lui è invecchiato, ma appare sicuramente più felice di Edward/Guy.

Edward/Guy arriva in un ristorante, dove all’esterno sono esposti dei cartelloni che pubblicizzano la nuova opera teatrale scritta da Ingrid. Fuori dal ristorante, ad aspettarlo, c’è Oswald: non appena vede Edward/Guy, corre ad abbracciarlo. Oswald e Ingrid raccontarono ad Edward/Guy tutto ciò che era accaduto negli ultimi anni: hanno avuto dei figli, entrambi hanno ottenuto successo, Ingrid impedì la messa in scena di “Edward” e tutto ciò risulta al contempo profondamente divertente e devastante per Edward/Guy, il quale ormai sembra incapace di mostrare emozioni.

Mentre Ingrid e Oswald spiegano che presto si trasferiranno in una comunità (che, a loro dire, non è per nulla una setta, anche se non ne sono del tutto sicuri), iniziano a scherzare con Edward/Guy; anche lui inizia a ridere. Ma: ridere per il gusto di ridere o per non piangere?

Edward/Guy ha abbandonato la sua vecchia e dolorosa vita, ma in quella risata ammette di aver commesso un grave errore. Tutto ciò che ha sempre desiderato – una fidanzata, essere affabile con tutti, essere un esempio per gli altri – è sempre mancato, o forse non è mai esistito davvero.

Edward/Guy è sempre rimasto rinchiuso in casa e non ha mai voluto chiamare il tecnico per riparare il buco nella sua abitazione, solo perché temeva il confronto con l’altro.

La più grande lezione di A Different Man è questa, racchiusa nel suo finale: ciò che siamo non si può cambiare, ma questo non significa che non possiamo compiere grandi passi avanti nella vita. Dobbiamo essere noi stessi e spronarci a diventare la migliore versione di noi stessi, senza cercare di essere qualcun altro. Più tenti di cambiarti con elementi che non ti appartengono, in realtà resterai lo stesso, anzi peggiorerai sempre di più, finché non diventerai come Edward/Guy, un uomo che non ha mai avuto il coraggio di migliorarsi, nemmeno quando ne aveva l’opportunità.

Neanche adesso si ritene l’uomo che ha sempre voluto essere non solo non è felice, ma vivrà in questa bugia che non lo fa stare bene da tanto tempo.

È proprio questa natura, tanto provocatoria quanto affascinante, a rendere il finale di A Different Man uno dei migliori epiloghi per un film di questo genere.

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Opinione finale con voto

A Different Man è un film sorprendente, che mescola abilmente il dramma esistenziale con una dark comedy intelligente e tagliente. Aaron Schimberg costruisce una riflessione complessa e profondamente umana sull’identità, sulla percezione di sé e su quanto il desiderio di cambiamento possa trasformarsi in un’ossessione distruttiva.

Il film riesce a essere sia disturbante che affascinante, sfidando le convenzioni e mettendo in discussione l’idea che un cambiamento esteriore possa davvero risolvere i conflitti interiori. La regia essenziale ma evocativa, unita a interpretazioni straordinarie – in particolare quella di Adam Pearson – rende il racconto ancora più incisivo.

Ciò che colpisce maggiormente è il modo in cui Schimberg ci costringe a confrontarci con la superficialità dei nostri giudizi e con la natura umana stessa: Edward/Guy crede di voler una vita nuova, ma alla fine resta imprigionato nella sua insicurezza, mentre Oswald dimostra che l’accettazione di sé è la vera chiave per vivere in armonia con il mondo.

In definitiva, A Different Man è un’opera potente, originale e ricca di sfumature, che merita di essere vista e discussa. Non offre risposte facili, ma lascia allo spettatore una domanda fondamentale: siamo davvero in grado di sfuggire a noi stessi? O semplicemente fare ciò ci rende sempre più attaccati alla nosto vero io?

Voto: 8/10

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E voi avete visto “A Different Man”? Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate!

Cliff

Amante della settima arte, cinefilo in tutto e per tutto ma sempre disposto a conoscere cose nuove. Amo particolarmente il cinema di James Gray e ascolto Taylor Swift, i cinecomic Marvel sono la mia kryptonite 👀

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