Black Mirror – La nostra recensione della settima stagione in anteprima! (2025)
La cupa e satirica serie antologica di Charlie Brooker torna nel 2025 con sei nuovi episodi, tra cui un sequel dell’avventura fantascientifica “USS Callister”. Dopo un’attesa di due anni, Brooker ci riporta nelle sue storie che esplorano il rapporto tra tecnologia e umanità, spaziando dal dramma all’avventura sci-fi, fino a un episodio interattivo.
In questa stagione veniamo catapultati in racconti diversi tra loro, che accendono le speranze per il futuro della serie, nata nel lontano 2011 come produzione televisiva prima di essere acquisita da Netflix. Ma, quindi, com’è questa nuova stagione?
Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo vista in anteprima e siamo qui per dirvi la nostra!
La recensione di “Black Mirror 7” sarà strutturata in questo modo: recensioni no-spoiler dedicate ai singoli episodi con voto annessi e concludendo con l’opinione finale riassuntiva dell’intera stagione.

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Recensione di Black Mirror: Common People (Gente Comune)
Quando un’emergenza medica lascia la maestra Amanda (Rashida Jones) in lotta per la vita, il marito Mike (Chris O’Dowd), disperato, la iscrive a Rivermind, un sistema ad alta tecnologia che la manterrà in vita, ma a caro prezzo.
Di questa incredibile stagione Common People risulta essere il minore di tutti gli episodi, ma non c’è assolutamente nulla di sbagliato in questo primo episodio d’apertura della stagione.
Siamo davanti a un episodio che colpisce per il suo equilibrio sottile tra mestiere e personalità: la regia è solida, attenta ai dettagli, e pur essendo “di mestiere” non è mai anonima. Si sente la mano esperta dietro la macchina da presa (la regista, Ally Pankiw, aveva lavorato nella scorsa stagione alla regia di Joan è terribile) , ma anche un’intenzione chiara nel raccontare una storia che, partendo in punta di piedi, si trasforma progressivamente in un’esperienza brutale e profondamente disturbante.
I dialoghi sono ben scritti, brillanti, spesso divertenti, e soprattutto funzionali a costruire in modo credibile i legami tra i personaggi. Non ci sono deviazioni inutili: si va dritti al punto, affrontando con coraggio temi delicati e attuali come la difficoltà di avere figli e il ricorso alla tecnologia per superare i limiti del corpo umano. L’episodio suggerisce una riflessione inquietante sull’identità personale e sulle implicazioni di un sistema capace di spingersi oltre il confine tra cura e controllo, lasciando allo spettatore la sensazione di trovarsi di fronte a un mondo dove l’empatia rischia di essere automatizzata e le emozioni, privatizzate.
Il cuore dell’episodio pulsa però anche su un piano emotivo: la lenta discesa del protagonista – un uomo disposto a tutto pur di salvare la donna che ama – è raccontata con crescente tensione e un senso di inevitabilità che stringe lo stomaco. La performance di Chris O’Dowd è straordinaria: sfumata, intensa, piena di dolore trattenuto. Accanto a lui, una Rashida Jones sorprendentemente intensa, in una delle sue prove più riuscite.
Intanto, il mondo intorno a loro crolla in un incubo a occhi aperti: È un mondo in cui anche le emozioni sono mercificate, impacchettate e vendute sotto forma di aggiornamenti a pagamento.
La chiusura è commovente, lasciando lo spettatore con un nodo in gola. Ma è anche un po’ affrettata, con alcune questioni lasciate in sospeso, forse volutamente, per lasciare spazio alla riflessione.
In definitiva, un episodio disturbante ma brillante, che racconta un futuro (troppo) vicino con intelligenza e crudezza, senza rinunciare alla dimensione umana.
Voto: 7/10

Recensione di Black Mirror: Bête Noire (Bestia Nera)
La pasticcera Maria (Siena Kelly) è inquieta quando la sua ex compagna di scuola Verity (Rosy McEwen) entra a far parte dell’azienda in cui lavora.
Perché c’è qualcosa di molto strano in Verity, qualcosa che solo Maria sembra notare.
Ambientato interamente nell’arco di una settimana lavorativa, da lunedì a venerdì, questo episodio si distingue per l’originalità del contesto in cui è immerso: un ufficio creativo all’interno di una compagnia dolciaria, dove si progettano nuovi snack, si sperimentano gusti e forme, si disegnano confezioni e si ideano campagne pubblicitarie. Un mondo raramente esplorato sullo schermo, colorato solo in apparenza, ma pronto a diventare claustrofobico e inquietante.
La storia ruota attorno al riavvicinamento – forzato e tutt’altro che sereno – di due vecchie compagne di scuola. Non erano amiche, anzi: il loro rapporto era segnato da indifferenza e piccole cattiverie adolescenziali. Ora si ritrovano, anni dopo, a lavorare nello stesso luogo. Ma c’è qualcosa di strano: una delle due, la “stramba” del liceo, quella brillante ma isolata, è irriconoscibile. È cambiata radicalmente nel modo di parlare, di vestirsi, di muoversi. Dei cambiamenti che insospetticono la protagonista.
Appena arriva, viene accolta con un entusiasmo che lascia senza parole la protagonista. Ottiene subito il lavoro, tutti le sorridono, persino i superiori sembrano pendere dalle sue labbra. L’altra, invece, si ritrova a fare i conti con l’ansia da prestazione, la tensione di essere osservata e giudicata da qualcuno che ha conosciuto in un’altra vita. I confini tra il presente e il passato iniziano a sfumare. Cose che “non sono mai successe” sembrano invece riaffiorare: è il classico effetto Mandela, che alimenta paranoia e senso di colpa.
Intanto, piccoli frammenti emergono: un possibile rapporto tra la ragazza “stramba” e un professore, vecchi episodi di bullismo, dinamiche mai risolte che riemergono sotto forme nuove. La protagonista inizia a colpevolizzare chiunque, a vedere nemici ovunque, in una spirale di ossessione e disorientamento psicologico sempre più intensa. Tutto condizionato dal ritorno di questa vecchia compagna di scuola.
La regia accompagna perfettamente questa escalation, giocando su toni sempre più cupi. Le due attrici protagoniste sono semplicemente eccezionali: il loro confronto è fatto di sguardi e tanti confronti verbali che creano una tensione perfetta. Anche i personaggi secondari sono ben delineati, su alcuni si poteva fare un lavoro maggiore ma avrebbe spostato il focus sulla storia principale
Il cuore dell’episodio sta in un messaggio scomodo e doloroso: il passato non passa mai davvero. Le ferite non guariscono solo perché non ci pensiamo più. Anzi, tornano. E quando tornano, fanno ancora male. Forse più di prima. E il rapporto con la tecnolgia qui per un motivo che lasciamo scoprire a voi è determinante in modo imprevidibile.
Il plot twist finale è ben costruito, sorprendente senza essere forzato, e chiude con forza e coerenza una storia che ha saputo mescolare il thriller psicologico con il dramma esistenziale in un modo fresco e insolito.
Un episodio originale, inquietante, perfettamente recitato e splendidamente diretto, che lascia un interrogativo che potrebbe aprire ad un possibile continuo della storia.
Voto: 8/10

Recensione di Black Mirror: Hotel Reveire
Un remake high-tech e insolitamente coinvolgente di un film britannico d’epoca spedisce la star hollywoodiana Brandy Friday (Issa Rae) in un’altra dimensione, dove deve attenersi al copione se vuole tornare a casa.
Questo episodio si apre in maniera traballante, quasi zoppicante, per poi ritrovare un ritmo incalzante e sempre più sicuro man mano che la storia si dipana. La colonna sonora, l’anima portante di questa narrazione, accompagna ogni scena con intensità, facendo da ponte emotivo tra le performance e gli ambienti che sembrano usciti da un film degli anni ’50.
Issa Rae regala una performance solida e convincente, ma è Emma Corrin a rubare la scena, come se il suo recente percorso in Nosferatu di Robert Eggers avesse affinato una sensibilità unica, capace di colpire direttamente l’animo dello spettatore. La puntata si prende i suoi tempi, con calma, permettendo al film di trascendere l’elemento tecnologico e di focalizzarsi su temi più universali: la vita, la depressione e il peso soffocante della macchina di Hollywood. In questo mondo, il cinema diventa una prigione dorata, una scatola chiusa con un’etichetta, dalla quale è quasi impossibile evadere.
Gli ambienti, curati nei minimi dettagli, trasportano lo spettatore in quel magico universo degli anni ’50, dove la fotografia in bianco e nero, seppur non sempre impeccabile, non intacca l’immersione emotiva e visiva. Awkwafina in quella che potrebbe essere considerata la sua migliore interpretazione.
L’episodio si configura come un ambizioso e camuffato omaggio alla vita di Marilyn Monroe, rivelando una dimensione meta-cinematografica che rende omaggio al grande schermo in ogni sua sfumatura. Nonostante sia parte di una serie TV, si rivela una vera e propria prova d’amore per il cinema, un’ennesima dimostrazione della capacità di Charlie Brooker di creare storie originali che riflettono la complessità dell’esistenza e dell’industria cinematografica.
Verso la conclusione, il ritmo sembra incorrere in qualche lungaggine, ma la narrazione riesce prontamente a riprendersi, riportando l’attenzione su quell’elemento già visto nella stagione precedente, il cui ritorno è più che gradito. Il finale, bellissimo e struggente, chiude l’episodio con una nota di malinconia e speranza, lasciando lo spettatore a meditare sulle contraddizioni di un mondo in cui il cinema, nonostante tutto, rimane un potente specchio dell’anima umana.
Voto: 9.5/10

Recensione di Black Mirror: Plaything (Come un giocattolo)
In una Londra del futuro prossimo, un eccentrico sospettato di omicidio di nome Cameron (Peter Capaldi) è collegato a un insolito videogioco degli anni ’90, popolato da simpatiche forme di vita artificiali in continua evoluzione.
Questo episodio segna una svolta in questa stagione di Black Mirror: è il primo in cui la tecnologia assume il ruolo di protagonista assoluta. La regia è impeccabile (David Slade aveva già diretto Black Mirror: Metalhead e Black Mirror: Bandersnatch), capace di far emergere ogni sfumatura del tema tecnologico, mentre l’interpretazione magistrale di Peter Capaldi regala profondità e carisma al personaggio. La fotografia, curata e suggestiva, completa un quadro visivo che richiama i toni cupi e surreali di un futuro non troppo lontano.
Fortemente ispirato a eXistenZ di David Cronenberg, l’episodio cattura quell’atmosfera disturbante e al tempo stesso affascinante, unendo elementi di paranoia e intrigo che hanno sempre contraddistinto le radici di Black Mirror. Infatti, fino alla conclusione, si riconoscono le premesse classiche da cui è nata la serie: un’esplorazione spietata delle interazioni tra tecnologia, mente e società, con un approccio narrativo che non ha paura di spingersi oltre i limiti del convenzionale.
Nonostante alcune lacune nella sceneggiatura il focus costante sulla tecnologia e le sue implicazioni rimane di per sé estremamente coinvolgente, anche per il finale distopico che è sempre un marchio di fabbrica di ogni storia di Black Mirror. Questo mix di riflessione e intrattenimento, supportato da una regia solida e da interpretazioni eccezionali, riuscirà a conquistare chi è affascinato dalle possibilità (e dai pericoli) di un mondo sempre più digitalizzato.
Voto: 8/10

Recensione di “Black Mirror: Eulogy“
Un uomo isolato (Paul Giamatti) viene introdotto a un sistema innovativo che consente agli utenti di entrare letteralmente in vecchie fotografie, suscitando forti emozioni.
Fin dal primo istante l’episodio parte con il botto, avvolgendo lo spettatore in una regia elegante e senza sbavature. L’episodio è diretto da Christopher Barrett e Luke Taylor, due esordienti alla regia ma si spera di poter leggere più spesso i loro nomi in future stagioni di Black Mirror
Entrando nelle fotografie, si assiste ad un’evoluzione visiva mozzafiato: i dettagli, anche quelli più sfocati e intimi, si trasformano in affascinanti forme poligonali, testimonianza di una cura maniacale per l’immagine e la narrazione. È qui che il sistema tecnologico supera il suo status di semplice strumento, divenendo un medium in grado di risvegliare emozioni profonde e di guidare una ricerca struggente nella memoria di una storia d’amore passata.
L’episodio risulta essere il più commovente dell’intera serie. Quando si intreccia la tecnologia con la narrazione di un amore ormai svanito, il pericolo di cadere in un sentimentalismo banale è sempre dietro l’angolo; tuttavia, il finale evita abilmente il buonismo becero, regalando una conclusione che riesce a sorprendere con la sua sincerità e profondità emotiva. Una pena, però, che l’episodio non riesca a mantenere la stessa durata e intensità narrativa di Hotel Reveire.
Un intepretazione magistrale di Paul Giamatti che potrebbe valergi una possibile nomination agli Emmy 2026.
Voto: 9.5/10

Recensione di “Black Mirror: USS Callister: Into Infinity“
Robert Daly (Jesse Pelmons) è morto, ma ora l’equipaggio della USS Callister, guidato dal capitano Nanette Cole (Cristin Milioti), è bloccato in un universo virtuale infinito e lotta per la sopravvivenza contro 30 milioni di giocatori.
L’episodio finale si apre con uno spettacolare impatto visivo e narrativo, immergendo lo spettatore sin da subito nelle vicende in maniera simile a quanto avviene nell’episodio originale della quarta stagione. L’inizio è una vera e propria dichiarazione di intenti, un invito a scoprire un universo parallelo e disturbante che cattura immediatamente l’attenzione.
L’evoluzione del concetto di “Infinity” in questo episodio va ben oltre le premesse già esplorate nel precedente capitolo: qui il termine assume un significato più profondo, si sviluppa in modo più articolato e complesso, andando a rivelare nuove dimensioni sia tecnologiche che esistenziali. La scrittura e la regia si fondono per creare un’atmosfera densa di mistero e tensione, in cui ogni dettaglio contribuisce a rafforzare il senso di immersione in un universo virtuale che, allo stesso tempo, mette in luce le fragilità e le ossessioni umane.
La narrazione sa dosare perfettamente le citazioni e i rimandi all’episodio originale, arricchendoli con nuove prospettive e offrendo una sorta di omaggio al concetto originale di “USS Callister”. L’approfondimento delle tematiche legate al videogioco, sia in senso letterale che metaforico, regala un’esperienza ricca di spunti di riflessione, portando lo spettatore a interrogarsi sul rapporto tra potere, creatività e il pericolo di perdersi nell’immensità di un universo digitale incontrollato.
In sintesi, “USS Callister: Into Infinity” si conferma come un episodio che, pur rimanendo fedele allo spirito e alle premesse del ciclo originale, si distingue per il coraggio di esplorare ulteriormente il concetto di infinito, offrendo una visione ancora più complessa e stratificata del rapporto tra umanità e tecnologia. Un altro brillante esempio di come “Black Mirror” riesca a coniugare intrattenimento e profonda riflessione sui temi contemporanei.
Cristin Milioti fantastica come sempre come tutto il cast che chiudono la storia in maniera dolce e perfettamente in linea con i rapporti che si sono sviluppati nel corso dell’episodio tra i più lunghi di tutta la serie (Al primo posto Black Mirror: Bandersnatch, al secondo Black Mirror: Hated in the Nation e, appunto, Into Infinity).
Voto: 9.5/10

Opinione finale con voto
L’attesa è stata più che ripagata: Black Mirror 7 si presenta come una stagione divertente, coinvolgente e, in alcuni momenti, veramente diabolica. Pur avendo attraversato nel corso degli anni una serie di cambi di tono nella scrittura, Charlie Brooker dimostra ancora una volta la sua maturità e la capacità di immergere lo spettatore in storie che, per lo più, risultano originali e capaci di creare tensione e profondo coinvolgimento.
I budget potenziati hanno permesso di sistemare diversi problemi legati agli effetti speciali, che nelle stagioni precedenti a volte apparivano malriusciti o forzati, donando ora alla serie un aspetto visivo notevolmente più curato e convincente. Questo intervento tecnico, però, è solo uno degli aspetti che arricchiscono la nuova stagione.
Ciò che colpisce maggiormente è la varietà tematica: pur rimanendo fedele ai temi portanti della serie – la tecnologia, le conseguenze delle nostre scelte e la fragilità dell’esperienza umana – Black Mirror 7 spazia in territori narrativi nuovi e audaci. Ogni episodio porta con sé un impegno passionale che si traduce in storie ricche di colpi di scena, ironia e quel tocco di follia che ha sempre contraddistinto il marchio di fabbrica della serie.
In definitiva, questa nuova stagione si conferma un esempio eccellente di come Black Mirror sappia evolversi senza tradire le sue radici, dimostrando ancora una volta la capacità unica di Charlie Brooker di trasformare le sfide contemporanee in narrazioni che affascinano, divertono e, soprattutto, lasciano un segno profondo nello spettatore.
Voto: 8.5/10

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