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DALILAND – LA NOSTRA RECENSIONE IN ANTEPRIMA! (2023)

Daliland presentato in anteprima alla 40° edizione del Torinto Film Festival e all’ultima edizione del Toronto International Film Festival è il nuovo film di Mary Harron regista del famoso “American Psycho” e per la serie Netflix uscita qualche anno fa “L’altra Grace“. La sceneggiatura scritta a 4 mani dalla Harron stessa e da suo marito John C. Walsh ci fa entrare nel mondo del pittore Salvador Dalì intepretato da un magistrale Ben Kingsley che regala una delle sue migliori intepretazioni!

Un viaggio nell’eccentrico mondo dell’artista Dalì, un biopic che racconta Dalì nella sua essenza più profonda e dal mio punto di vista il miglior film della regista canadese. Noi di NerdAlQuadrato abbiamo avuto la possibilità di vedere il film in anteprima e questi sono i nostri pareri generali sulla pellicola in uscita nelle sale il 25 maggio.

Chi ci segue sa già che la recensione di “Daliland” sarà divisa in diverse categorie: la parte no-spoiler, parte spoiler, la parte dedicata ai personaggi e al cast, un ulteriore paragrafo dedicato all’aspetto tecnico e infine l’opinione finale con voto.

Daliland
Daliland, Ben Kingsley in una scena del film

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Recensione No-Spoiler

Daliland è un viaggio emozionante nella mostra più folle del panorama artistico. Ma diventa una storia tragica e muta di un uomo che ha fatto della sua arte la sua identità, e così facendo ha prosciugato la vita stessa dal dipinto. Il protagonista di Daliland è un Salvador Dalí che cerca di superare la sua umanità attraverso l’arte. Per questo anche i suoi baffi sono un capolavoro.

(Lui e Gala si fingono il re e la regina del loro mondo, ma la realtà, che il film svela gradualmente, è più oscura.) Questi due sono anime affini che si amano e si detestano, ma si sono anche alleati in una trama disperata per mantenere in vita la leggenda di Dalí come un fantasma.

Il film ripercorre la loro storia fino al loro primo incontro e l’interpretazione di Ezra Miller è intensa (in parte perché lo scandalo del comportamento di Miller fuori dal set quasi lo alimenta). C’è anche una scena in cui la giovane Gala (Avital Lvova) assiste, nel 1931, alla creazione di “La persistenza della memoria” da parte di Dalí, anche se, per quanto ben scritta, la scena non può nascondere il fatto che la Harron non è riuscita a ottenere i diritti per mostrare i quadri di Dalí.

Questo genere del biopic su qualcuno di cui non si farebbe un biopic è sempre più presente nel cinema contemporanea. La forma è nata, in un certo senso, con “Sid e Nancy”, ma è stata praticamente brevettata dagli sceneggiatori Scott Alexander e Larry Karaszewski, che l’hanno introdotta sulla mappa, nel 1994, con “Ed Wood” (il “Quarto Potere” del genere).

Successivamente per poi passare alla sceneggiatura di “Man on the Moon” (su Andy Kaufman), “Big Eyes” (sul pittore Walter Keane e sua moglie Margaret, che si rivelò essere il pittore dietro il trono) e “Dolemite Is My Name” (sul comico truffatore Ray Moore). Ci sono stati film del genere anche da altre parti, come il superbo “Auto Focus” di Paul Schrader (sulla star televisiva Bob Crane e la sua vita sessuale da video-feticcio), fino al recente successo Elvis, Air – La storia del grande salto e Weird: The Al Yankovic Story.

Nel film si nota constantemente di come Dalì si riferisce sempre a se stesso in terza persona. Anche tutti gli altri lo chiamano Dalí. Non è solo una persona, è un concetto. Ogni momento è pervaso dalla sensazione di essere in presenza di qualcosa di oscuramente magico, il grande Dalí, che agli occhi di Dalí è l’unico artista del suo tempo che può essere paragonato agli artisti fondamentali della storia.

Un tema affascinante che Mary Harron analizza a fondo è quello della sessualità: oltre ad essere fondamentale nell’opera di Dalì, il difficile rapporto con la sua libido ci viene proposto come un vero e proprio filo conduttore della sua vita. Al Ritz di New York, quindi, Dalì si circonda di un gruppo di modelle-muse che formano il suo harem della castità: sembra che l’impossibilità dell’atto sessuale sia per Dalì la fonte prima dell’ispirazione, dal momento che l’immaginazione e l’osservazione sono alla base dell’ispirazione artistica, mentre l’atto pratico, nella sua reale e violenta realizzazione, è privo di ogni forma di poesia e astrazione.

Voto: 8/10

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Daliland, Andreja Pejić, Ben Kingsley e Barbara Sukowa in una scena del film

Recensione Spoiler

Harron apre il film in modo divertente, con uno spezzone di Dalì degli anni ’50 nel panel game show televisivo “What’s My Line?”, dove risponde a ogni domanda (“Sei un protagonista?”) con lo stesso burbero “Sì”. Si passa poi alla New York del 1974, dove James (Christopher Briney), che ha abbandonato la scuola d’arte e fa l’assistente/apprendista/governiere alla Dufresne Gallery, è stato incaricato di consegnare una mazzetta di denaro a Gala (Barbara Sukowa), moglie di Dalí, nella loro suite all’Hotel St.

I due soggiornano lì ogni inverno, nella stessa suite, per 20.000 dollari al mese, e non appena la porta si apre veniamo catapultati in quello che ci colpisce come un universo alternativo.

La festa è in pieno svolgimento, ma il sole splende alto nel cielo, e lì, al centro della scena, c’è Dalí, che domina tutto con i suoi capelli fluenti e i baffi lunghi e ricci, da dadaista eccentrico. Tiene le redini della conversazione in un modo che è al contempo accattivante e intimidatorio. Indossa camicie svolazzanti e cappotti lunghi e vistosi, come un vecchio pistolero spagnolo venuto dal futuro.

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Daliland, Ben Kingsley in una scena del film

Personaggi e Cast

Ben Kingsley dà vita a Dalì con grandi occhi neri che possono esplodere di furore, per poi apparire, subito dopo, come se fossero in lacrime, anche se scintillano di gioia. Dalí è una finzione o è veramente folle (la risposta potrebbe essere tutte e due). Dalí domina le sue feste, che sono piene di nobili invecchiati e di splendidi giovani muscolosi e debuttanti, come un gigante autoritario che è anche un dio.

A prima vista, sembra l’incarnazione dell’invecchiamento parassitario, quasi un personaggio di de Sade. La sua ultima amante è Amanda (Anreja Pejic), una bellezza transgender con una voce rauca e consapevole, ma Dalí, come scopriamo, non fa sesso (anche se gli piace osservare).

Ben Kingsley è stato un’ottima scelta sia per la sua somiglianza fisica con il pittore, sia per la sua capacità di riprodurre i gesti e le movenze di Dalì. La Gala di Barbara Sukowa è una donna forte e determinata, a tratti crudele, ma adatta al ruolo che le spetta. Le loro performance sono esaltate anche dall’uso di molti primi e primissimi piani sui loro volti, che evidenziano le emozioni.

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Daliland, Suki Waterhouse e Christopher Briney in una scena del film

Aspetto tecnico

Il film ha una sceneggiatura solida e delle ottime interpretazioni da parte dei protagonisti. Un’opera dalla regia all’avanguardia. Molto curato anche il lavoro del reparto costumi che ha creato gli abiti della festa e del mondo di Dalì. La regia si serve dei flashback per far capire meglio la storia, alternando passato e presente lungo tre linee temporali che si integrano bene. Il film è quindi sia una biografia – con modifiche – ma soprattutto una riflessione sulla purezza dell’arte e su come il profitto spesso la rovini. Ci mostra però che ci sono sempre persone come James che cercano di conservarla così come gli artisti l’hanno pensata.

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Daliland, Ben Kingsley e Christopher Briney in una scena del film

Opinione finale con voto

Il film mostra agli spettatori come la purezza di un artista sia spesso compromessa. Dalì è un genio ma anche un bambino che cerca rassicurazioni e conforto. La sua arte scaturisce dagli stimoli esterni, dalla rabbia, dall’odio che lui considera le fonti principali della vita, ma anche dal modo unico che aveva di interpretare e osservare il mondo. Gala è la sua musa, la donna che ha condiviso la sua follia, ma anche una donna mutata nel tempo che arriva a sminuire il suo lavoro facendola diventare la cattiva del film.

Le logiche del profitto minacciano di assoggettare l’artista, ma lui dimostra di non arrendersi mai, di non farsi mai addomesticare e di creare nei suoi tempi e nei suoi modi: non si può controllare Dalì come non si può guidare il vento in una direzione precisa. Il ritratto che ne risulta è quindi quello di un uomo e di un artista puro nell’ultima fase della sua produzione artistica.

Daliland è questo. Un opera che ci offre uno splendido ritratto degli anni ’70 in cui il protagonista è un Dalì crepuscolare tormentato da pulsioni di morte, malattia e conflitti irrisolti. Come il personaggio petrarchesco dell’uterquehomo, lacerato da atroci contrasti, Dalì ha smarrito il contatto con il suo vero io, travolto dalla dimensione pubblica, sentimentalmente ferito dai tradimenti di Gala e ossessionato dalla morte. Obbligato a dipingere solo per mantenere il suo sfarzoso stile di vita, Mary Harron ci mostra un Dalì in declino, che cerca di restare attaccato con tutte le sue forze all’amata moglie, ma che da lei ottiene solo inganni e risentimento.

Voto: 8/10

Daliland
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Cosa ne pensate? Vedrete Daliland?

Cliff

Amante della settima arte, cinefilo in tutto e per tutto ma sempre disposto a conoscere cose nuove. Amo particolarmente il cinema di James Gray e ascolto Taylor Swift, i cinecomic Marvel sono la mia kryptonite 👀

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