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Dostoevskij – La Nostra Recensione in anteprima della miniserie dei fratelli D’Innocenzo! (2024)

“Dostoevskij” è una miniserie televisiva italiana ideata, scritta e diretta da Damiano e Fabio D’Innocenzo. Sarà interamente trasmessa il 27 novembre 2024 su Sky Atlantic. Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto in anteprima e siamo qui per dirvi la nostra!

La storia ruota intorno alla vita di un poliziotto dal passato travagliato che si ritrova ad inseguire un serial killer, soprannominato Dostoevskij, che lascia accanto alle sue vittime lettere piene di dettagli raccapriccianti.

La recensione di “Dostoevskij” è divisa in più parti: una prima parte no-spoiler (per chi vuole un parere a grandi linee sulla serie), una recensione spoiler, un’analisi del finale, chiudendo con una opinione finale generale.

Dostoevskij

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Recensione No-Spoiler di “Dostoevskij”

Nonostante un incipit estremamente promettente, che richiama atmosfere alla “Zodiac” e segue la falsariga dei migliori thriller gialli e polizieschi americani recenti, la serie fatica a decollare. Arrivare a vedere tutti i sei episodi di questa miniserie si è rivelato un compito arduo: già a metà del primo episodio ho sentito il forte impulso di abbandonarla con atomo del mio corpo.

Purtroppo, i suoi numerosi difetti oscurano i pochi pregi, che non riescono in alcun modo a salvare il giudizio complessivo, che non arriva nemmeno ad una sufficienza risicata.

Anche il tentativo di velocizzare la riproduzione degli episodi non ne migliora l’esperienza: a velocità aumentata, la serie appare ancora lenta, sia nei dialoghi che nelle inquadrature, confermando quanto il tutto sia inutilmente dilatato in modo esasperante.

Ogni episodio, inoltre, è caratterizzato da scene prevalentemente scure e da una qualità visiva volutamente ruvida, con una grana molto doppia, insieme con un effetto da pellicola d’epoca deteriorata, che ne vorrebbe evidenziare lo “sporco”.

Questo stile, anziché arricchire l’atmosfera, complica ulteriormente la visione, impedendo letteralmente di mettere a fuoco eventi e personaggi.

La serie tenta di posizionarsi come un dramma psicologico introspettivo, mescolato a un thriller poliziesco incentrato su una serie di omicidi scollegati, ma accomunati da un unico filo conduttore: un nuovo, enigmatico serial killer che sembra voler emulare figure come Red Dragon.

Paradossalmente, l’assassino si dipinge come una figura ambivalente: da un lato, carnefice spietato; dall’altro, una sorta di salvatore che ritiene di liberare le vittime da un’esistenza opprimente.

Tuttavia, questa introspezione pseudo-filosofica, anziché aggiungere profondità, finisce per appesantire ulteriormente una narrazione già priva di mordente.

Voto: 4/10

Dostoevskij
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Recensione Spoiler di “Dostoevskij”

Questo assassino lascia lettere sul luogo del delitto dense di metafore didascaliche, scritte di proprio pugno, per spiegare – o giustificare – i suoi atti.

Questi scritti dipingono una persona che sembri voler aiutare le proprie vittime, convinto che la morte sia un regalo, mostrando una presunta superiorità intellettuale e rivelando anche una sofferenza esistenziale insostenibile per l’assassino stesso.

Ogni lettera descrive il momento in cui il killer entra nella vita delle sue vittime, analizzando ciò che lo ha disgustato, irritato o turbato al punto da spingerlo a compiere il delitto.

Presentato in questi termini, il nostro assassino potrebbe potenzialmente essere una figura incredibilmente affascinante, con il giusto ritmo narrativo, serrato e incalzante, la serie avrebbe potuto trasformarsi in una caccia all’uomo magnetica, capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo.

Un approccio di questo tipo avrebbe potuto avvicinare il tono della narrazione a quello della serie su Hannibal Lecter”, creando una tensione costante e un coinvolgimento emotivo intenso.

Tuttavia, l’esecuzione non sfrutta appieno le potenzialità di questo personaggio.

I suoi tratti, per quanto intriganti, restano soffocati da una narrazione lenta e dispersiva, che annulla completamente il peso delle sue azioni e della sua filosofia.

La serie, quindi, è un’enorme occasione sprecata. Le intenzioni alla base del racconto – che sembrano voler trasmettere messaggi profondi e rappresentare un quadro desolante e disperato dei personaggi – vengono percepite, ma vengono costruite in maniera completamente errata. La messa in scena non valorizza il messaggio, anzi, spesso lo appesantisce inutilmente.

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Le scelte registiche, come alcune inquadrature statiche o inutilmente prolisse, e una recitazione che risulta per la maggior parte della storia per nulla incisiva, contribuiscono a a rendere faticoso il seguire la storia.

Un esempio tra tutti: l’uso di scene prive di reale utilità, come le riprese di paesaggi desolati o case in semi-oscurità con un’estetica volutamente sporca e indefinita, non intensificano il senso di oppressione e isolamento dei personaggi.

Al contrario, tali scelte rendono il racconto statico, senza aggiungere profondità né emozione, soprattutto per la durata di tali scene, che spezzano il ritmo.

Prendiamo in considerazione la scena del poliziotto protagonista, Enzo Vitello, che urina in un bagno pubblico di un autogrill deserto, di notte.

Invece che accentuarne la solitudine, la scena è inutile e non supporta la caratterizzazione del personaggio, che a quel punto della narrazione è comunque già consolidata, considerando che tale scena avviene al termine del quarto episodio.

La decisione di includere questa scena come una soggettiva del personaggio che mostra l’urina nell’orinatoio, oltre a essere visivamente discutibile, risulta priva di significato narrativo, oltre all’assurdità del vedere un bagno pubblico incredibilmente linto e pulito.

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Un altro caso è il commissario della polizia, una figura potenzialmente interessante ma per niente sviluppata per tutta la serie, il cui momento di crisi viene solo accennato.

Il momento di maggiore trasparenza per quest’ultimo arriva all’inizio del quinto episodio: ambientata in una spa, che appare persino più fatiscente del suddetto bagno pubblico, dove viene mostrato il commissario in un momento intimo e vulnerabile.

Mentre egli fissa il vuoto nell’acqua, tenta di confessare alla moglie il suo profondo senso di insoddisfazione, riguardo la sua vita e, in particolare, della sua carriera da poliziotto, che non gli ha portato nulla di significativo.

Persino le rare soddisfazioni, come il denaro con cui ha potuto portare lui e sua moglie alla spa, gli sembrano vuote e prive di valore. Non riesce a rilassarsi, né a condividere un momento di intimità con la moglie, che, distratta dal telefono, lo ignora completamente.

In uno sfogo particolarmente malinconico, confessa che l’unico momento di vera felicità era l’amicizia nata con il collega, il protagonista, ora ormai spezzata.

Questa perdita ha rafforzato il senso di solitudine e infelicità che già lo pervadeva, al punto da spingerlo a immaginare il suicidio nella stessa vasca, analizzando meticolosamente se fosse possibile attuarlo.

Tuttavia, questo potenziale momento di grande drammaticità ed empatia viene completamente rovinato dalla recitazione, che oscilla tra un tono piatto e privo di emozioni e un’esagerazione fuori luogo, come se il commissario stesse orchestrando una fuga da un film d’azione piuttosto che riflettendo sulla propria disperazione.

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Uno dei rari momenti in cui la serie riesce a colpire lo spettatore è verso la fine del quarto episodio, quando il poliziotto protagonista rivela il suo segreto più oscuro e disturbante: un impulso pedofilo nei confronti della figlia, sviluppatosi durante l’infanzia della stessa.

Questo tormento, che Enzo ha represso per tutta la vita, lo ha distrutto, costringendolo a un abuso di farmaci e alcol per sopprimere tali pensieri, e a un distacco forzato dalla figlia per evitare l’irreparabile.

La scena risulta piuttosto emotivamente tesa e culmina in uno scontro feroce tra padre e figlia.

Quest’ultima, già segnata da una vita autodistruttiva, non riesce ad accettare quelle parole; accusando e disprezzando il padre, definendolo un mostro, ignorando i suoi tentativi di spiegare e chiedere perdono, pur affermando che non ha mai dato sfogo a quegli impulsi.

La tensione esplode in un breve conflitto fisico, arrivando quasi ad essere una gara a chi riesce a farsi più del male tra i due. La figlia, in un gesto estremo, tenta di togliersi la vita ingerendo i farmaci del padre, tentativo che quest’ultimo interrompe immediatamente salvandola in extremis.

Questa scena risulta un’eccezione: per il resto della serie, il protagonista appare spesso privo di emozioni, come un automa. Anche nei momenti di rabbia o dolore, la sua interpretazione non riesce a trasmettere l’intensità emotiva necessaria.

La serie sembra puntare con insistenza sulla volontà di turbare lo spettatore, ma il più delle volte fallisce nel suo intento. Uno dei pochi momenti che riesce effettivamente a catturare l’attenzione, però, trasmettendo un senso di angoscia autentica è nella parte centrale dell’episodio finale.

Qui viene rivelato che “Dostoevskij” è una giovane donna, il cui passato è intriso di sofferenze e traumi.

Cresciuta in un orfanotrofio, la ragazza ha vissuto un’infanzia segnata da abusi e umiliazioni, condivise con altri bambini. Questo contesto tragico spiega, solo in parte, il suo percorso deviato e il bisogno di riversare la propria sofferenza sugli altri attraverso i suoi crimini.

Qui c’è una sorta di scontro molto interessante, non fisico, tra il protagonista e l’assassino: il poliziotto, consumato da anni di frustrazione, infelicità e desiderio di catturare il killer, si trova di fronte alla donna e decide di infliggerle una sorta di tortura: mentre la giovane cerca disperatamente di uccidersi, Enzo glielo impedisce e, quasi con una crudele ironia, la minaccia di guarirla e rinchiuderla in isolamento per il resto della sua vita, privandola della pace della morte, a meno che non continui a scrivere lettere sotto il suo dettato.

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Analisi del finale di “Dostoevskij”

Il finale di Dostoevskij”, oltre a portare il sollievo del termine di questa tortura definita miniserie, porta con sé epilogo volutamente disturbante e ambiguo.

Dopo aver esplorato la sofferenza dei due protagonisti principali – il poliziotto tormentato dai suoi demoni e il serial killer segnato da un passato di abusi – l’ultima puntata svela una trasformazione che, per quanto narrativamente possa essere “prevista” grazie agli indizi disseminati, riesce ad essere un interessante colpo di scena: mostrando una metamorfosi del protagonista.

L’uomo decide di assumere il ruolo dell’assassino, portando egli stessi avanti questa serie di crimini accompagnati da lettere angoscianti scritte di suo pugno.

Questo cambio di ruolo è coerente con il progressivo fascino che il poliziotto ha sviluppato per la filosofia di Dostoevskij, non tanto per gli omicidi in sé, quanto per la disperazione e sofferenza che trasudavano dalle lettere.

Il poliziotto mette anche in scena la sua morte: costringendo Dostoevskij a scrivere una lettera per una vittima che si rivela essere lui stesso, momento che rappresenta un “risorgimento dalle ceneri” per il protagonista.

Il finale, quindi, non offre un lieto fine tradizionale per nessuno, ma nel caso del poliziotto si può interpretare come una forma di “lieto fine distorto”.

Il finale si sofferma anche sulle ripercussioni di questa svolta: la figlia del poliziotto, nonostante il rapporto complicato e il suo rifiuto di perdonarlo, soffre ovviamente della sua scomparsa, non avendo un corpo su cui piangere; anche il commissario, unico amico del protagonista, viene mostrato in quel che sembra una malinconica routine: fa visita alla ragazza, trovandola in un ambiente degradato, quasi a cercare un senso di conforto reciproco, condividendo e leccandosi le ferite a vicenda.

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Opinione finale con voto

La miniserie Dostoevskij” parte inizialmente come un progetto intriso di ambizione, ma risulta subito incredibilmente afflitto da problemi di messa in scena e recitazione distruggono ogni speranza.

Nonostante la premessa intrigante ed il potenziale narrativo, la serie non restituisce alcun contenuto coinvolgente, scivolando in lungaggini narrative annoiano lo spettatore.

Uno degli aspetti più interessanti della serie è sicuramente l’ambientazione: sceglie di collocarla nelle pianure e nei ruderi italiani dona all’opera un senso di alienazione e disperazione che si sposa bene con il tema dell’annichilimento.

Questo elemento, forse il più autentico e distintivo della serie, contribuisce a creare un’atmosfera suggestiva e opprimente che richiama l’idea di un’umanità in rovina, da cui i personaggi protagonisti non possono che uscirne ugualmente decadenti.

Il concept punta a sviluppare temi come il dolore interiore, la moralità distorta e la persecuzione di redenzione, senza essere in grado di sviscerarli in maniera lineare.

La scelta di rendere molte scene troppo buie risulta solo frustrante e non aumenta il senso di oppressione; la regia che si affida eccessivamente a silenzi e inquadrature statiche, senza generare tensione, ma solo dilatare inutilmente i tempi.

Le performance attoriali sono perlopiù piatte o con toni eccessivamente sopra le righe, con il protagonista che risulta il più problematico tra tutti.

Il colpo di scena finale, per quanto inaspettato, non aiuta a migliorare il valore generale dell’opera. Sfido tutti ad avere la forza di vedere questa miniserie per intero e ad affermare di essere soddisfatti del prodotto finale.

Voto: 4/10

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E voi avete visto “Dostoevskij”? Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate!

2 thoughts on “Dostoevskij – La Nostra Recensione in anteprima della miniserie dei fratelli D’Innocenzo! (2024)

  • Non capire un cazzo al quadrato

    Risposta
  • Tiziano51

    Tesa, cupa, disturbante, intensa.
    Si sarebbe potuto fare di meglio? Probabilmente sì. Ma viste le solite serie italiane che attualmente imperversano, di una banalità disarmante ed una recitazione sovente scolastica, questa è di un livello nettamente superiore.

    Risposta

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