Eden – La nostra recensione del nuovo film di Ron Howard proiettato al TFF 42! (2024)
Quest’anno il Torino Film Festival celebra il suo 42° anniversario con un’edizione rinnovata e ricca di novità. Tra queste spiccano le nuove sezioni fuori concorso, come “Zibaldone“ e, soprattutto, “Marlon Brando“, quest’ultimo un omaggio al centenario dell’iconico attore statunitense, il cui volto campeggia sulla locandina ufficiale del festival. Ad aprire le danze di questa edizione è stato il nuovo film di Ron Howard, “Eden”: la pellicola racconta la storia di una coppia di tedeschi in fuga dalla Germania del 1929 che trova rifugio su un’isola remota, dove tenta di ricostruirsi una vita lontano dal caos.
Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e ora siamo qui per dirvi la nostra!
La recensione di “Eden” sarà strutturata in queste parti: recensione no-spoiler (per chi vuole un primo parere sul film, ma non l’ha ancora visto), recensione spoiler, analisi del finale, e concludendo con l’opinione finale riassuntiva.
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Recensione No-Spoiler di “Eden”
Tratto da una vicenda di cronaca nera realmente accaduta nelle Isole Galapagos, sull’isola di Floreana, Eden, diretto da Ron Howard, esplora la trasformazione psicologica dell’essere umano messo alla prova dalla sopravvivenza. Attraverso un’analisi brutale e primitiva, il film racconta il disperato tentativo di proteggere sé stessi, la propria famiglia e il proprio territorio, con un parallelismo evocativo: l’uomo che lotta come un cinghiale a difesa dei suoi cuccioli.
La narrazione introduce una galleria di personaggi variegata e complessa: uomini di scienza e filosofia, seguaci disperati, colonizzatori eccentrici accompagnati dai loro subordinati. Ciascuno di loro porta con sé ambizioni, ideologie e visioni del mondo che, tuttavia, si sgretolano di fronte ai bisogni primari, quando l’istinto animale prende il sopravvento.
Jude Law interpreta il dottor Friedrich Ritter, un uomo che, insieme alla moglie Dora, fugge in esilio volontario sull’isola Floreana. La coppia abbandona la Germania del 1929 per sfuggire alle ideologie emergenti, coltivando l’utopica speranza di riscrivere il futuro. Ritter è una figura enigmatica e ironica, ritratta da Howard con una velata parodia degli uomini di pensiero: filosofi che citano Nietzsche per giustificare le loro azioni, che si autocompiacciono delle proprie opere, ma che faticano a sostenere il peso della realtà. Una caratterizzazione che, nonostante il tono caricaturale, diverte e stimola.
Daniel Brühl presta il volto a un devoto ammiratore di Ritter, un discepolo quasi ossessivo che, nella sua venerazione, trascina moglie e figlio in un’impresa disperata. Tuttavia, la narrazione affianca a questo slancio idealistico un motivo secondario, meno affascinante: la ricerca di una cura per la tubercolosi del figlio, un elemento narrativo che, pur introdotto, viene inspiegabilmente trascurato nel resto del film.
Howard costruisce una trama fitta di temi e conflitti, inserendo numerosi spunti che, però, rimangono in parte irrisolti o abbandonati. La sceneggiatura, sovraccarica di dinamiche e di personaggi, risente di questa sovrabbondanza, diluendo la tensione e sacrificando la profondità. Un maggiore equilibrio avrebbe consentito di elevare ciascuna componente narrativa, rendendo il film più incisivo.
Il contraltare ideale del protagonista è rappresentato dalla baronessa Eloise von Wagner, interpretata con fascino glaciale da Ana de Armas. Autoproclamatasi “l’incarnazione della perfezione”, la baronessa arriva sull’isola con ambizioni diametralmente opposte a quelle di Ritter: non per cercare un ideale, ma per fondare un lussuoso resort, l’“Hacienda Paradiso”. La sua presenza introduce una dimensione di manipolazione e ambizione sfrenata, amplificando i conflitti interni all’isola.
Attorno ai tre protagonisti principali orbitano figure secondarie che, pur meno approfondite, offrono contributi significativi. Tra queste, Sydney Sweeney si distingue per un’interpretazione sfumata, capace di alternare riservatezza e vitalità. Insieme, queste dinamiche umane trasformano Eden in un thriller di sopravvivenza che indaga tradimenti, inganni e i limiti della natura umana.
Nonostante le premesse intriganti e un cast di alto livello, il film soffre di una sceneggiatura eccessivamente diluita, con sequenze ridondanti che ne smorzano il potenziale. Ron Howard riesce a creare un’opera visivamente accattivante e tematicamente interessante, ma non riesce a bilanciare adeguatamente le sue molteplici ambizioni. Il risultato è un film che sfiora l’eccellenza, ma si perde nelle sue stesse pretese narrative, rimanendo un thriller suggestivo ma imperfetto.
Voto: 6½/10
Recensione Spoiler di “Eden”
Se il Paradiso Terrestre fosse un luogo reale, probabilmente sarebbe intriso del sangue di chi tenta di conquistarlo, una lotta perpetua tra potere e sopravvivenza. La baronessa Eloise, protagonista interpretata da Ana de Armas, incarna questa lotta, non con la forza delle armi, ma attraverso manipolazione e controllo.
Mi piace vedere il suo personaggi anche con un’altra veste: una metafora delle grandi multinazionali di oggi che, con strategie rozze e tradimenti, annientano le piccole realtà locali per perseguire i propri fini egoistici. Eloise inoltre non si sporca mai le mani, affidandosi ai suoi “cadetti” per portare avanti i suoi piani. In questo, è la perfetta rappresentazione del volto invisibile delle corporazioni: il lato oscuro mascherato da fascino e perfezione. La sua superiorità si manifesta anche nelle scelte estetiche e simboliche del film.
Quando arriva sull’isola, sorretta dai suoi due amanti, appare come una divinità che non cammina mai sullo stesso terreno degli altri. Il suo ingresso trionfale a dorso d’asino richiama l’iconografia cristiana di Gesù a Gerusalemme, un’immagine carica di arroganza e presunzione.
Ma Eloise è anche un personaggio profondamente insicuro: incapace di affrontare la solitudine, tenta di manipolare chiunque per assicurarsi devozione e compagnia. Questo dualismo tra la maschera divina e le sue fragilità umane rappresenta uno degli elementi più interessanti del film.
Chiusa questa parentesi su Eloise che avevo bisogno di condividere, Eden non riesce sempre a mantenere il livello di profondità che promette. Il conflitto principale, pur affascinante nelle sue implicazioni, si sviluppa in modo altalenante. Alcuni personaggi vengono penalizzati da una scrittura superficiale, come nel caso di Sydney Sweeney, il cui ruolo si riduce a un’archetipo ingenuo e mal gestito. Una delle sequenze più discutibili è quella del parto, la scena di parto più surreale che abbia mai visto.
Analisi del finale di “Eden”
Nel climax, Dora prende una decisione estrema: avvelenare il marito Friedrich, ormai corrotto dall’ambizione e distante dagli ideali che un tempo l’avevano ispirata. Per coprire il delitto, Dora attribuisce la colpa della morte della baronessa Eloise alla famiglia Wittmer. Ma è Margret Wittmer, con astuzia, a depistare le indagini militari, deviando l’attenzione su altri personaggi misteriosamente scomparsi durante gli eventi.
La chiusura del film vede i Wittmer decidere di restare su Floreana, che è ormai diventata la loro casa definitiva. I titoli di coda sono impreziositi da filmati d’archivio realizzati da Allan Hancock, che mostrano la vita reale sull’isola, intrecciando il destino dei protagonisti fittizi con quello degli eredi dei veri coloni, che vivono ancora oggi lì.
Opinione finale con voto
Eden è un film ambizioso che affronta la complessità della natura umana, spogliandola di scienza e filosofia per mettere in luce i suoi istinti primordiali: il desiderio, la paura, l’odio. Tuttavia, la pellicola fatica a trovare una coerenza narrativa, diventando un mosaico di critiche alla società degli anni ’30, curiosamente speculari a quelle contemporanee.
Ron Howard dirige con mestiere, ma non riesce a sfruttare appieno il potenziale del cast stellare e dei collaboratori tecnici. Hans Zimmer compone una colonna sonora poco memorabile, e la fotografia di Mathias Herndl, seppur elegante, manca di incisività. Eden non è privo di meriti, ma si perde in una struttura eccessivamente frammentaria. Il risultato è un’opera che affascina a tratti, ma che non raggiunge l’impatto emotivo o intellettuale che avrebbe potuto ottenere.
Voto: 6½/10
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