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Grand Theft Hamlet – La nostra recensione in anteprima del documentario nel mondo di GTA! (2025)

Grand Theft Hamlet, in uscita su MUBI venerdì 21 febbraio, è un documentario diretto da Sam Crane e Pinny Grylls che racconta la loro folle impresa di portare in scena Amleto nel mondo di GTA, interfacciandosi con tutti i problemi possibli, giocatori che uccidono chiunque gli capiti a tiro, giocatori che promettono di partecipare ma poi si scopre utilizzavano l’account di altri e così via.

Un lavoro nato durante la pandemia, in cui i due attori disocuppati e dal futuro incerto si rifugiano nel caos virtuale di Grand Theft Auto Online. Alla ricerca disperata di uno scopo, Sam e Marc decidono di allestire l’Amleto nel mondo imprevedibile del loro videogioco preferito. Saranno riusciti in ciò? Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!

La recensione di “Grand Theft Hamlet” sarà strutturata in queste parti: recensione no-spoiler (per chi vuole un primo parere sul film, ma non l’ha ancora visto) e concludendo con l’opinione finale riassuntiva.

grand theft hamlet
“Grand Theft Hamlet”

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Recensione di “Grand Theft Hamlet”

Sam e Marc sono due amici, entrambi attori di teatro, che si trovano improvvisamente senza lavoro durante uno dei periodi più destabilizzanti del secolo: la pandemia da COVID-19. La chiusura forzata dei teatri, il blocco degli eventi dal vivo e l’incertezza del futuro li gettano in una profonda crisi economica e personale. Disperati e totalmente al verde, cercano un modo per evadere dalla realtà opprimente e trovano rifugio nel loro videogioco preferito, Grand Theft Auto Online.

Mentre esplorano la vasta mappa del gioco, si imbattono in un teatro all’aperto, un dettaglio che potrebbe sembrare irrilevante ai più, ma che per Sam accende una scintilla creativa. È proprio in quel momento che gli viene un’idea tanto folle quanto geniale: mettere in scena Amleto di Shakespeare all’interno del mondo virtuale di GTA Online. Il progetto, inizialmente nato come una semplice provocazione artistica e un modo per esorcizzare il difficile momento storico, si trasforma ben presto in una vera e propria avventura.

Da qui inizia il percorso di Sam e Marc, che si mettono alla ricerca di attori all’interno della modalità online del gioco, tentando di convincere altri giocatori a partecipare alla loro ambiziosa messinscena. Tuttavia, il reclutamento non è affatto semplice: tra giocatori disinteressati, troll che cercano solo di sabotare il progetto e problemi tecnici legati alla piattaforma, i due attori si trovano ad affrontare una serie di ostacoli che rendono l’impresa ancor più surreale. Eppure, proprio queste difficoltà rappresentano il cuore pulsante della loro esperienza, trasformando il loro tentativo di portare Shakespeare in un mondo virtuale in un’opera che unisce arte, videogioco e documentario.

L’idea è talmente particolare che spinge i due a documentare l’intero processo, creando quello che diventerà Grand Theft Hamlet, un documentario che si propone di raccontare non solo la loro esperienza, ma anche di riflettere più ampiamente sul ruolo dell’arte e della cultura in tempi di crisi. Il concetto alla base di questo film potrebbe sembrare brillante, un connubio inedito tra teatro classico e videogioco moderno, tra dramma shakespeariano e anarchia digitale, ma il risultato finale si rivela tutt’altro che entusiasmante.

Se nei primi trenta minuti Grand Theft Hamlet riesce a risultare godibile, persino divertente, grazie alla genuina passione di Sam e Marc e ai loro dialoghi che mettono in luce non solo le difficoltà artistiche, ma anche i problemi più profondi legati alla loro condizione di attori disoccupati, con il passare del tempo l’opera diventa sempre più difficile da guardare. Il ritmo si appesantisce, la narrazione si dilata inutilmente e la comicità iniziale lascia spazio a un tono eccessivamente serioso che smorza l’entusiasmo dello spettatore.

Uno dei problemi principali del documentario è la sua incapacità di mantenere viva l’attenzione del pubblico. Ci sono intere sezioni che sembrano superflue, prive di un reale contributo alla comprensione generale del progetto. Più volte ci si chiede quale sia il vero scopo di certe scene e perché siano state incluse nella versione finale del film. La sensazione generale è quella di trovarsi di fronte a un video di YouTube da quindici minuti che è stato forzatamente allungato fino a durare ben 93 minuti.

L’elemento documentaristico, invece di approfondire il lato umano e creativo dell’impresa, si perde in digressioni che appesantiscono il racconto. Le difficoltà affrontate da Sam e Marc nella selezione degli attori e nell’organizzazione dello spettacolo virtuale avrebbero potuto essere un ottimo spunto per esplorare il rapporto tra teatro e nuovi media, tra videogioco e rappresentazione artistica, ma il film non riesce mai a sviluppare queste tematiche in modo efficace. Il risultato è un’opera che, nonostante la premessa accattivante, non riesce a coinvolgere né emotivamente né intellettualmente.

Arrivati agli ultimi trenta minuti, la situazione peggiora ulteriormente. Il documentario si addentra in una serie di riflessioni retoriche sui cambiamenti sociali portati dalla pandemia, sull’alienazione degli individui e sulla fuga nei mondi virtuali come meccanismo di difesa dalla realtà. Sebbene questi siano temi di grande rilevanza e attualità, il modo in cui vengono affrontati risulta artificioso e pretenzioso. Invece di arricchire il film, finiscono per renderlo inutilmente pesante e cervellotico, spezzando completamente il già precario equilibrio tra ironia e drammaticità.

Un documentario dovrebbe offrire spunti di riflessione, ma Grand Theft Hamlet non riesce a dare al pubblico un vero punto di vista, né a costruire una narrazione avvincente. Non c’è un’evoluzione chiara dei personaggi, né una vera progressione della storia. L’esperienza di Sam e Marc avrebbe potuto essere un esempio affascinante di come l’arte possa adattarsi a nuovi contesti, ma il modo in cui viene raccontata non permette di apprezzarne fino in fondo le potenzialità. Il tutto appare dispersivo, privo di una struttura solida che possa sostenere l’idea di partenza.

Forse il più grande problema di Grand Theft Hamlet è proprio il fatto che sembra non sapere cosa voglia essere. È un documentario? Una satira sul mondo del teatro? Una riflessione sulla pandemia? Un esperimento artistico? Invece di scegliere una direzione chiara, il film tenta di essere un po’ di tutto, fallendo su più fronti. Il pubblico non riesce a empatizzare con i protagonisti né a sentirsi coinvolto nel loro progetto. Persino le difficoltà affrontate dai due attori, che avrebbero potuto essere un elemento di tensione e di interesse, vengono trattate in modo talmente dispersivo da risultare poco coinvolgenti.

In definitiva, Grand Theft Hamlet è un’occasione mancata. L’idea alla base del documentario era senza dubbio originale e poteva offrire un’interessante riflessione sulla creatività nell’era digitale, sulle possibilità offerte dai videogiochi come spazi alternativi di espressione artistica e sul bisogno di reinventarsi in tempi difficili. Tuttavia, la sua esecuzione lascia molto a desiderare: il film è eccessivamente lungo, poco incisivo e spesso noioso. Alla fine della visione, rimane ben poco su cui riflettere, e ciò che poteva essere un esperimento affascinante si trasforma in un’esperienza estenuante.

Se l’intento era quello di dimostrare come il teatro possa sopravvivere anche nei contesti più improbabili, il risultato è paradossalmente l’opposto: invece di esaltare la magia del palcoscenico, Grand Theft Hamlet sembra spegnerla, soffocandola sotto il peso di una narrazione inefficace e di una riflessione che, anziché stimolare il pubblico, lo lascia indifferente.

Voto: 4/10

“Grand Theft Hamlet”

Opinione finale con voto

In definitiva, Grand Theft Hamlet è un’occasione mancata. L’idea alla base del documentario era senza dubbio originale e poteva offrire un’interessante riflessione sulla creatività nell’era digitale, sulle possibilità offerte dai videogiochi come spazi alternativi di espressione artistica e sul bisogno di reinventarsi in tempi difficili. Tuttavia, la sua esecuzione lascia molto a desiderare: il film è eccessivamente lungo, poco incisivo e spesso noioso. Alla fine della visione, rimane ben poco su cui riflettere, e ciò che poteva essere un esperimento affascinante si trasforma in un’esperienza estenuante.

Se l’intento era quello di dimostrare come il teatro possa sopravvivere anche nei contesti più improbabili, il risultato è paradossalmente l’opposto: invece di esaltare la magia del palcoscenico, Grand Theft Hamlet sembra spegnerla, soffocandola sotto il peso di una narrazione inefficace e di una riflessione che, anziché stimolare il pubblico, lo lascia indifferente.

Voto: 4/10

“Grand Theft Hamlet”

E voi avete visto “Grand Theft Hamlet”? Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate!

Cliff

Amante della settima arte, cinefilo in tutto e per tutto ma sempre disposto a conoscere cose nuove. Amo particolarmente il cinema di James Gray e ascolto Taylor Swift, i cinecomic Marvel sono la mia kryptonite 👀

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