Il robot selvaggio – La nostra recensione! (2024)
Tratto dal romanzo “Il robot Selvatico”, il nuovo film in uscita nelle sale italiane il 10 ottobre, “Il Robot Selvaggio“, è un nuovo film d’animazione che ha generato interesse e curiosità sin dal primo trailer! Noi di Nerd Al Quadrato siamo qui per dirvi la nostra grazie all’anteprima tenutasi al Cinema Moderno di Roma alla quale abbiamo partecipato per invito della Universal Pictures, la quale ringraziamo profondamente. E in primo luogo ringraziamo voi lettori per il seguito e la crescita del progetto.
La recensione de “Il Robot Selvaggio” sarà strutturata in tre parti: recensione no-spoiler (per chi vuole un primo parere sul film, ma non l’ha ancora visto), recensione spoiler (“Una narrazione profonda”) e un sunto del discorso col voto.
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Parte Non spoiler
Cominciamo il discorso affermando che “Il Robot Selvaggio” risulta un film alquanto particolare. Se da una parte mostra questioni profondi e interessanti, profondamente interessanti, dall’altra presenta una narrazione fanciullesca e piuttosto “stampata”, ovvero da manuale. Infatti, noterete che la prima parte e la seconda parte del lungometraggio sono due parti ben distinte. La trama è la stessa ma i toni sono leggermente differenti e questo si sente per tutto il corso della narrazione.
Ci sono momenti “deboli”, relativamente, con battute perfettamente funzionanti, per giunta, ma la questione negativa sta nel cambio netto (seppur ben nascosto) fra una scena infantile, o con comicità fanciullesca, e momenti di profonda introspezione e analisi. Ciò non deve necessariamente risultare il lato negativo de “Il Robot Selvaggio”, beninteso, può essere un grande punto di forza: in questo modo, la storia può arrivare ai più piccoli come ai grandi.
Fatto che incarna il libro da cui il film traspone la trama. Esatto! Per chi non lo sapesse, per completezza, la sceneggiatura è stata generata partendo dal libro “Il robot Selvatico” (da qui il film “Il robot selvaggio”), il quale in realtà ha ben due sequel letterari. (Quindi non si esclude del tutto l’idea di un potenziale sequel cinematografico!)
Ma parliamo anche della cosa che, probabilmente, ha catturato maggiormente l’attenzione a partire dai trailer di pubblicizzazione. Ovvero l’animazione, o meglio lo stile d’animazione! Infatti, lo stile leggero, colorato ma al contempo brutalmente “vero” e onesto ci catapulta in questo ambiente totalmente estraneo, come se l’isola in cui si ambienta la storia fosse magica o incantata. Questo carattere, quello magico o comunque di fantasia, dona a tutta la narrazione quell’aspetto “da storiella della notte”, ovvero una narrazione fanciullesca accompagnata, per l’appunto, da uno stile cartoonesco ma reale.
Una narrazione profonda.
Il film parte con un carattere principale: traumaticità. Questo pone immediatamente l’accento sul carattere traumatico delle prime sequenze viste nel corso della prima parte. Il robot protagonista, Roz, subisce il trauma all’istante, appena risvegliata, poiché tenta di eseguire le informazioni che, però, non ha. Roz tenta di eseguire informazioni che non esistono perché non gli sono state assegnate… O per lo meno, non sono state condivise.
Infatti, Roz si ritroverà in un ambiente totalmente sconosciuto non solo dal suo protocollo, ma anche (e soprattutto) alla sua stessa natura. Tant’è che la natura di un robot, paradossalmente parlando di natura e tecnologia (la quest’ultima è del tutto artificiale, apparentemente), non è quella di prendere iniziativa ma solo ed esclusivamente di seguire il protocollo, il codice, l’ordine.
Ovvero quella sequenza di 1 e di 0, quindi il codice in sé, che viene implementato durante la programmazione. Dunque ecco il carattere traumatico della narrazione che appare sin dall’inizio! Dai primi secondi del film, appare, già come un preludio di ciò che verrà, questa sequenza rapida fra le nuvole, i lampi e il rimbombo dei tuoni.
Successivamente, Roz. Vediamo una sequenza registicamente alquanto interessante: delle lontre che osservano e cercano di capire la natura di questo oggetto metallico a forma di sfera (forma in cui il robot si rintana durante lo spegnimento o nella confezione stessa) che è naufragato nella costa. Il tutto dall’occhio di Roz, non da un punto di vista esterno ma bensì dall’interno. Questo distacco, questo rapporto, fra interno e esterno rimane come argomento di sfondo nel corso della narrazione. (Infatti lo vedremo anche successivamente!)
A questo punto, Roz fa ciò che gli riesce meglio, il che risulta una paradossale sorpresa all’occhio dello spettatore (essendo umano, con caratteri e istinti umani), ovvero cercare uno scopo. Nonostante la, attualmente, mancata costruzione del personaggio, questo pretesto già consente un’immersione pressoché importante nei confronti del protagonista e della sua situazione particolare poiché rasenta l’umanizzazione di un qualcosa che di per sé non è, categoricamente, umano.
Insomma, la narrazione ci pone sin da subito una situazione di Shock totale: traumaticità e paradossi. Due caratteri che compongono la casistica del trauma psicologico e, quindi, di una perdita di contesto. In altri termini, lo spettatore si immerge improvvisamente nella narrazione. Inoltre, il carattere traumatizzante della prima parte del film viene definito anche da una dinamica che non solo viene presentata senza scrupoli ma anche approfondita a modi educativi, infatti il film ha una totale impronta fanciullesca. Non parliamo del viaggio onirico che presenta una formazione mentale e un’avventura mozzafiato, ma bensì di una semplice situazione che, però, nella sua semplicità risulta complessa.
Due poli opposti dello stesso magnete che fanno contatto, entrato in conflitto ma non possono distruggersi, coesistono nella violenza, nel conflitto fra essi stessi. Questo, questo rapporto fra Naturalità e Artificialità, fra due facce della stessa medaglia, è il fulcro di tutta la prima parte. Una parte colma di senso, nonostante l’impronta profondamente fanciullesca del tutto, il che rende il film accessibile ai più piccoli ma meno denso di significato ai più grandi.
Comunque, una volta superata la fase del trovare un proprio obiettivo, e quindi un puro senso alla propria esistenza, la narrazione si sposta su un secondo protagonista, ovvero un cucciolo d’oca, Beccolustro (così chiamato), che, vedendo Roz come prima cosa appena nato, considera il robot, lei, la madre. Il che affida al robot il compito che tanto ardeva nel cercare: fare la madre. O meglio, in termini più meccanici: preparare Beccolustro alla migrazione di autunno. Un po’ come una metafora della vita, il film continua a presentare concetti profondi: in questo caso, l’atto di prendersi cura di un bambino, divenire madre a tutti gli effetti e preparare il fanciullo alla vita. In altre parole, più umane formare un rapporto d’amore.
Una volta che Beccolustro risulta pronto per la grande migrazione, la narrazione ci pone un problema: il robot, ormai Roz a tutti gli effetti, prova amore, un sentimento, nei confronti dell’ochetta. Questo è, in termini paradossali, al di fuori della natura di un soggetto artificiale come un robot. Questo è il rapporto distintivo fra interno e esterno che prima abbiamo esposto: esternamente, un robot che esegue una serie di informazioni codificate, internamente un vero e proprio umano capace di provare un sentimento così profondo come l’amore.
L’umanizzazione di ciò che non è categoricamente un umano: la trasformazione più totale della propria natura. Tema che influenza tutti i personaggi, a dirla tutta, verso la conclusione della narrazione, ma anche lo stesso Beccolustro durante la sua crescita. Infatti, l’oca, che solo comportamenti naturali dovrebbe presentare, invece imita assiduamente Roz, come un vero bambino fa coi propri genitori. La dinamica fra predatori e prede che tanto viene brutalmente esposta nelle prime sequenze del film, si rompe all’ultimo con una tregua formata dai vari animali con la finalità di sopravvivere collettivamente all’estremo inverno che si abbatte sull’isola.
Il Robot Selvaggio – Due poli opposti dello stesso magnete.
Insomma, stiamo parlando di un film, “Il Robot Selvaggio”, che parte con una sequenza introspettiva ma al tempo stesso chiaramente e brutalmente rivolta all’esterno, alla natura come all’artificio. Parliamo dell’esposizione di questi due poli, due questioni polari che, però, non si contraddicono nonostante il conflitto naturale che li riguarda.
Natura e tecnologia sono conflittuali in quanto una si rivolge all’istinto mentre l’altra al sapere, eppure l’una necessita l’altra. Si completano, nonostante la differenza e la polarità che li costituisce. Natura e tecnologia fanno tutt’uno in questa narrazione piuttosto commerciale a dirla tutta e fanciullesca nei modi, nell’esposizione.
“Il Robot Selvaggio” è un film che consigliamo caldamente non solo di vedere e sentire ma bensì di guardare e ascoltare.
Voto: 9/10
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E voi vedrete “Il Robot Selvaggio”? Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate!