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LIVING – LA NOSTRA RECENSIONE! (2023)

Presentato in anteprima alla 79esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica.

Living diretto dall’esordiente sudafricano Oliver Hermanus e scritto dal premio nobel Kazuo Ishiguro si pongono l’obiettivo di rivisitare quel capolavoro in bianco e nero di Akira Kurosawa (Ikiru) per farne una storia ambientata nella Gran Bretagna del 1953, coi suoi burocrati con ombrello e bombetta, e pensa per il personaggio principale a Bill Nighy. Saranno però riusciti a replicare l’effetto? Scopritelo nella nostra recensione di NerdAlQuadrato!

Chi ci segue sa già che la recensione di Living sarà divisa in diverse categorie: la parte no-spoiler, parte spoiler, la parte dedicata ai personaggi e al cast, un ulteriore all’aspetto tecnico e infine l’opinione finale con voto.

*Piccola premessa, il film dopo essere stato distribuito in pochissime sale durante dicembre è disponibile da qualche giorno su Now Tv nel caso voleste recuperarlo.

Living
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Recensione No-Spoiler

Spostando l’ambientazione del film da Tokyo alla Londra del 1953 ancora intenta a fare i conti con le macerie materiali e morali della Seconda Guerra Mondiale, Living racconta la storia di Williams (un gigantesco Bill Nighy), anziano dipendente pubblico stretto nella morsa di una vita sempre uguale resa ancora più solitaria dalla morte della moglie. William non è altro che un freddo ingranaggio della burocrazia cittadina, circondato da scartoffie che continuano a moltiplicarsi. Quando scopre di avere un male incurabile la notizia lo porta a fare un bilancio della sua esistenza.

Mettendo da parte per qualche attimo la questione remake, Living di Oliver Hermanus rappresenta il miglior modello di cinema drammatico britannico visto negli ultimi anni. Ciò non soltanto per il complesso e senz’altro grandioso lavoro sugli – e degli – interpreti del film, ma anche e soprattutto per come riesce a gestire i toni e le tematiche certamente impegnate della sua struttura narrativa, senza risultare mai pesante, ridondante, o ancor peggio, prolisso.

Basti considerare la caratterizzazione del protagonista del film, così definitivamente austero, gelido, incorruttibile, invisibile di fronte all’emotività e per certi versi, almeno inizialmente, anche alla vitalità di ciò che gli sta attorno. Un personaggio con il quale risulterebbe impossibile entrare in contatto, non compiendo alcun gesto o non proferendo alcuna battuta di dialogo capace di smuovere lo spettatore fino al raggiungimento di quel minimo livello di empatia capace di creare rapporto, condivisione e sentimento.

Consapevole di non poter sprecare altro tempo, l’uomo decide di spendere gli ultimi mesi che gli restano da vivere provando a non sprecarne nemmeno un minuto. Grazie all’aiuto di Peter (Alex Sharp), un giovane idealista appena assunto, William decide di prendere in mano una pratica aperta da un gruppo di mamme decise a far costruire un parto giochi in un’area degradata.

Sapere di non avere tempo è la miglior cura per debellare la burocrazia. Un integerrimo e non più giovane funzionario statale della Londra dei primi anni ’50, svolge il suo lavoro con la compassata abitudine di utilizzare ogni espediente burocratico per girare ai colleghi di uffici collaterali le pratiche che gli cadono sulla scrivania per il nullaosta.

Salvo poi insabbiarle senza troppi problemi qualora costoro tornino a rimbalzargli sulla scrivania. Il giorno in cui il dottore gli diagnostica un male incurabile che lascia all’uomo pochi mesi di vita, ecco che il comportamento di questo riservato ed ermetico ometto si desta dal torpore un po’ indolente su cui si è crogiolato per decenni, divenendo il paladino delle cause difficili o perse in partenza.

A partire da una annosa pratica di autorizzazione a trasformare una vecchia discarica abusiva in un parco giochi, a cui alcune mamme del quartiere si accaniscono da anni. Living, del bravo regista Oliver Hermanus, già noto e apprezzato per The Endless River (2015) e Moffie (2019) (parliamo di lavori molto intimi per il regista), si rivela il più autentico colpo al cuore natalizio in campo cinematografico. Il vero, genuino, film di Natale, inteso nel miglior senso del termine.

La morale della bella storia si condensa nel concetto che, quando si viene a conoscenza di non avere più tempo a disposizione, la brutta evenienza si rivela la miglior cura per debellare la più ottusa e irragionevole burocrazia dilagante, in questo non proprio isolato caso, addentro all’organizzazione statale di una Londra decisamente meno precisa ed efficiente dell’immagine che la capitale si è spesso meritata.

Il film è una riuscita e delicata rivisitazione di Vivere, sceneggiato e diretto da Akira Kurosawa nel 1952, trasportato nella Londra dei primi anni ’50 e adattato con grazia inconfondibile dalla penna delicata e sottile, intensa e penetrante del romanziere premio Nobel Kazuo Ishiguro. Un piccolo grande film, dunque, con un Bill Nighy in stato di grazia, del tutto meritata la candidatura all’Oscar ma dovrà giocarsela con Brendan Fraser (Charlie in The Whale), Austin Butler (Il re del rock in Elvis), Colin Farell (e il suo amatissimo Padraic ne The Banshees of Inisherin) e Paul Mescal per Aftersun. Living riesce a commuovere e a colpire al cuore, senza mai eccedere in fastidiose e puerili stucchevolezze.

Voto: 7.5/10

Living

Recensione Spoiler

Che il film sia passato alle ambientazioni giapponesi a quelle inglesi non è un caso, anche la società inglese ha una capacità di controllare le emozioni fino a reprimerle. È quello che ha fatto William per oltre vent’anni dopo la morte della moglie per evitare di continuare a soffrire inutilmente. Ma, paradossalmente, quella sentenza di morte scatena in lui un’irrefrenabile voglia di vivere.

Il film di Hermanus lo mette in scena in modo molto preciso mostrandoci la freddezza e compostezza dell’ambiente lavorativo e casalingo della prima parte della sceneggiatura, con lo schiudersi del protagonista nella seconda parte. Tra le scene più emozionanti di Living quella in cui William, a poche ore dalla scoperta della sua malattia, siede sul divano e davanti ai suoi occhi si materializzano alcuni dei ricordi della sua gioventù come dei lampi troppo repentini da poter trattenere.

Living

Personaggi e Cast

Interpretazione come sempre impeccabile di Bill Nighy, buono il resto del cast, perfetta l’ambientazione nella Londra anni ’50. Abbastanza contento di rivedere Alex Sharp dopo l’insuccesso di La ragazza del punk innamorato (2017) e Attente a quelle due (2019), qui destreggia bene ma ricordiamo sempre che il vero protagonista è Nighy. Lancia a favore per Aimee Lou Wood, che dopo Sex Education si sta confrontando con attori di un certo calibro, ne “Il visionario mondo di Louis Wain” con il candidato al premio Oscar Benedict Cumberbatch, in Living si prova a mettere a confronto con un maestro della recitazione come Nighy riuscendoci in parte.

Living

Aspetto tecnico

Living è tecnicamente impeccabile, la fotografia di Jamie Ramsay dona al film uno spessore, una densità tali da sembrare scatti di un’epoca passata nel suo giocare sui contrasti.

La regia di Hermanus è fluida, precisa, funzionale, pur confrontandosi con un modello di cinema perfezionista e dalla intensa e irraggiungibile ricerca visiva dell’inquadratura e dell’immagine, come quello di Kurosawa, si rivela capace non soltanto di replicare certe atmosfere ma anche di approfondire maggiormente il legame tra la caratterizzazione di Mr. Williams in relazione all’ambiente in cui vive, filmando una Londra d’altri tempi estremamente sonnolenta, soleggiata e dai costumi estremamente rigidi e per certi versi intimiditi rispetto all’esplicitazione del sentimento e dell’emotività.

La scelta di girare il tutto in un simil 4:3 porta una maggiore immersione in quel mondo sì raffinato, ma incapace di dimostrare le emozioni che prova veramente. Unica pecca forse è il montaggio che alcune volte prova a osare dove non servirebbe realmente.

Living

Opinione finale con voto

Un film come Living, dall’incredibile portata drammaturgica e ad alto tasso di emozionalità, se affidato all’autore sbagliato, sarebbe certamente entrato a far parte di quel girone infernale sempre più vasto e apparentemente infinito dei remake inutili, privi di qualsiasi motivazione e dalla genesi misteriosa. Uno di quei remake nati da una volontà autoriale mai realmente precisata e interessata unicamente a una soddisfazione economica estremamente rara da raggiungere.

Eppure Living non sembra affatto farne parte, risultando anzi un’ottima esperienza cinematografica, dalla cura registica e di scrittura decisamente sorprendente e memorabile, capace di offrire inoltre una delle migliori interpretazioni maschili viste in moltissimi anni di cinema. Si premia sopratutto l’intelligenza del regista e dello sceneggiatore che conducono la narrazione, evitando di premere su atteggiamenti patetici o retorici.

Voto: 7.5/10

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Cliff

Amante della settima arte, cinefilo in tutto e per tutto ma sempre disposto a conoscere cose nuove. Amo particolarmente il cinema di James Gray e ascolto Taylor Swift, i cinecomic Marvel sono la mia kryptonite 👀

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