Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez – La nostra recensione (2024)
Il 19 settembre è finalmente stata pubblicata su netflix l’attesissima serie “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”. Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!
La recensione di “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menedez” sarà strutturata in queste parti: recensione no-spoiler, recensione spoiler, analisi del finale, e l’opinione finale riassuntiva.
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Recensione No-Spoiler di “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”
Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez, la nuova serie targata Ryan Murphy e Ian Brennan, è il secondo capitolo dell’acclamata saga antologica Monsters, che ha esordito con Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer nel 2022. Ci viene raccontato uno dei casi di cronaca nera più importanti, ossia la sconvolgente vicenda dei fratelli Lyle ed Erik Menendez, condannati nel 1996 per l’omicidio dei genitori José e Mary Louise “Kitty” Menendez.
La serie si distingue per la sua regia curata e sorprendente, con una scrittura intensa e profonda che si spinge oltre i limiti del classico true crime. In questo viaggio tra i lati più oscuri della mente umana, il racconto riesce a coinvolgere lo spettatore, sfidandolo continuamente a riflettere sui concetti di giusto e sbagliato, e sul vero significato della parola “mostro”.
Con un cast azzeccatissimo, guidato dalle interpretazioni straordinarie di Cooper Koch (Erik Menendez) e Nicholas Alexander Chavez (Lyle Menendez), ogni episodio è un piccolo capolavoro, dove la tensione e il coinvolgimento emotivo raggiungono livelli altissimi. La serie si concentra non solo sugli omicidi, ma anche sulle dinamiche psicologiche che hanno condotto i fratelli a compiere l’orribile gesto, toccando tematiche delicate come l’abuso familiare e la facilità di accesso alle armi da fuoco negli Stati Uniti.
Voto: 8.5/10
Recensione Spoiler di “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”
Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez esplora con grande intensità emotiva il caso che sconvolse l’America alla fine degli anni ’80: l’omicidio dei genitori José e Kitty Menendez da parte dei loro stessi figli, Lyle ed Erik. Il racconto si dipana lentamente, accompagnando lo spettatore all’interno della psiche tormentata dei due fratelli, interpretati magistralmente da Nicholas Alexander Chavez e Cooper Koch. Il delitto, avvenuto il 20 agosto 1989 nella villa della famiglia a Beverly Hills, è il punto di partenza di una storia che va ben oltre il semplice fatto di cronaca.
Inizialmente, i due fratelli non vengono considerati sospetti. Lyle ed Erik partecipano ai funerali dei genitori in lacrime, mostrando dolore e raccontando storie affettuose su di loro. Tuttavia, la loro vita dopo gli omicidi assume un aspetto sospetto: i due iniziano a spendere l’eredità in maniera sfrenata e con eccessi che non passano inosservati.
Il vero colpo di scena arriva quando Erik, incapace di sopportare il peso della colpa, cerca conforto dal suo psicoterapeuta, il dottor Jerome Oziel, a cui confessa, tra le lacrime, il crimine e il terribile vissuto che lo ha portato a compierlo. Qui emerge la parte più oscura e disturbante della storia: la lunga serie di abusi fisici ed emotivi inflitti dal padre José Menendez, con la complicità passiva della madre Kitty, spesso annebbiata da alcol e farmaci.
Questo retroscena viene sviluppato in maniera particolarmente struggente nell’episodio centrale “L’uomo ferito”, dove Erik racconta con dolorosa precisione gli abusi sessuali subiti dal padre. Il monologo che tiene davanti al suo terapeuta è lungo, intimo e devastante, una scena che, grazie alla regia incisiva e all’interpretazione emotivamente intensa di Koch, colpisce lo spettatore con una forza travolgente.
Il percorso psicologico che porta i fratelli all’omicidio è una delle trame più affascinanti della serie. Lyle, il più grande dei fratelli, appare come il leader carismatico e più freddo, mentre Erik, più fragile e sensibile, vive in uno stato di costante paura e rimorso. Il loro legame, reso quasi morboso dalla condivisione del trauma, si evolve in una spirale di disperazione che culmina nell’omicidio. La decisione di uccidere i genitori non è presentata come un atto improvviso o puramente violento, ma come la drammatica conclusione di anni di sofferenza inascoltata.
Ryan Murphy, da abile narratore quale è, non si limita a raccontare i fatti, ma porta lo spettatore a esplorare i confini della moralità e della giustizia. Chi sono i veri mostri? È una domanda che la serie pone continuamente, destabilizzando il giudizio facile e spingendo a riflettere sulle dinamiche familiari patologiche e sull’impatto degli abusi. Murphy fa emergere con forza il peso schiacciante della presenza autoritaria del padre, e il silenzio della madre diventa complice nella distruzione emotiva dei figli.
Il processo che segue gli omicidi diventa un altro momento chiave della serie. I fratelli vengono definiti “sociopatici” dal dottor Oziel, un’etichetta che aggiunge ulteriore complessità alle loro personalità e al modo in cui il pubblico li percepisce. La serie non prende mai una posizione netta su chi siano realmente Lyle ed Erik: vittime o carnefici? Questa ambiguità morale è uno degli aspetti più potenti del racconto, che non offre risposte facili ma continua a interrogare lo spettatore fino alla fine.
Analisi del finale di “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”
In definitiva, Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez è una discesa profonda e disturbante nei meandri della mente umana, una narrazione che esplora con coraggio temi delicati come l’abuso, la violenza familiare e la giustizia sociale, senza mai perdere di vista la complessità emotiva dei suoi protagonisti. La regia di Murphy è precisa, tesa, e rende ogni episodio un’esperienza avvincente, mentre le interpretazioni dei protagonisti sono tanto intense quanto devastanti.
Opinione finale con voto
Questa serie riesce a conquistare lo spettatore grazie alla sua capacità di alternare momenti di tensione estrema a riflessioni profonde. Le interpretazioni di Koch e Chavez sono autentiche e trasmettono un senso di disagio che non lascia indifferenti. Sebbene il tema degli abusi sia trattato con cruda intensità, non cade mai nel sensazionalismo gratuito. In particolare, la capacità di Murphy di bilanciare il racconto tra orrore e empatia e soprattutto rispettare quello che è il reale fatto di cronaca fa sì che Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez si imponga come una delle serie true crime meglio eseguite.
Voto: 8.5/10
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E voi avete visto “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”? Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate!