Non sono quello che sono – La nostra recensione del nuovo film di Edoardo Leo! (2024)
“Non sono quello che sono” è un film drammatico del 2024, diretto ed interpretato da Edoardo Leo.
Ambientata nei primi anni 2000, è una reinterpretazione dell’Otello di Shakespeare, inserita nella malavita romana, in cui il bene e il male si mescolano in un vortice di inganni, tradimenti e folle gelosia. Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!
La recensione di “Non sono quello che sono” è divisa in due parti: una prima parte no-spoiler, con una recensione ed un parere generale sul film; seguita da una recensione spoiler, con analisi della conclusione e pensieri finali sul film.
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Recensione No-Spoiler di “Non sono quello che sono”
Il nuovo film, scritto e diretto da Edoardo Leo, mostra come alcune delle opere più importanti della letteratura e del teatro siano ancora spaventosamente contemporanee e forse più attuali di quando furono concepite; nonostante la percezione di alcune cose e alcuni fatti siano cambiati durante i secoli.
La sua rivisitazione dell’Otello di Shakespeare non vuole andare a snaturare o a modificare estremamente l’opera originale, bensì vuole mantenerne la struttura generale, i dialoghi e l’evoluzione della storia; rimuovendo dal ruolo di protagonista Otello, facendolo arrivare fino ad un ruolo quasi marginale di secondaria importanza, come se fosse un personaggio di contorno. Soprattutto togliendone l’aria di vittimismo e compassione che permeava il protagonista nell’opera originale.
Proprio per questo, come affermato anche da Leo, non ha scelto il titolo “Il dramma di Otello”, chiamandolo semplicemente “Non sono quello che sono”. Questa affermazione si può considerare quasi come una confessione sia del personaggio di Iago, interpretato dal regista stesso nell’accezione in cui l’ha trasposto, sia come una sorta di smascheramento di Otello.
Quest’ultimo è sempre stato visto come una vittima, come la persona che ha sofferto di più nel dramma, vedendolo con occhi moderni, invece, si può considerare questa storia come un fatto di cronaca, costringendo chi segue gli eventi a provare empatia per colui che è nel torto, un assassino.
Otello, accecato dalla gelosia indottagli degli inganni di Iago, uccide sua moglie Desdemona, convinto che lei lo stia tradendo. Per come è strutturata la storia originale, ci si schiera dalla parte dell’uomo, si soffre con lui, quasi giustificando l’atto di violenza e di abuso contro sua moglie.
Proprio per questo punto che Edoardo Leo lavora di sottrazione, togliendo tutto quello che potrebbe umanizzare il personaggio principale, trasformandolo in un folle, sempre più ossessionato e circondato da una ricca carica di simbolismi, mascolinità tossica e religione; quest’ultimo elemento rafforzato dalle origini etniche del personaggio nel film.
Quindi questo film riesce in maniera del tutto naturale a simboleggiare un manifesto contro la violenza sulle donne, raccontando una storia che rappresenta un compendio di tutti quei fatti di corona rosa degli ultimi anni, di quegli abusi e violenza su donne.
In secondo piano, però, vuole anche essere manifestazione contro il razzismo, fortemente evidenziato nel film, indirettamente tramite relazioni e atteggiamenti che tutti hanno nei confronti di Otello, inserito in un contesto di criminalità organizzata fortemente gerarchica, in una Roma dei primi anni 2000, ambientazione che favorisce l’arricchimento simbolico della storia, con metafore visive che approfondiscono la psicologia dei personaggi.
Voto: 7/10
Recensione Spoiler di “Non sono quello che sono”
“Non sono quello che sono” è l’emblematica frase con cui un anziano Iago apre il film, simulando un pentimento per i crimini commessi. Tuttavia, sin dalle prime battute, si intuisce che è solo apparenza: non c’è certezza del suo rimorso. Al contrario, egli si rivela un diavolo travestito da criminale pentito, un manipolatore che gioca con gli interlocutori.
In questa rivisitazione del dramma, Iago è il vero protagonista, incarnando un diabolico tentatore. Non un lupo tra le pecore, ma un lupo tra i suoi simili, che sfrutta la fragilità morale degli altri per spingerli oltre il limite e commettere atrocità senza esitazioni.
Se “il diavolo è nei dettagli”, come suggerisce la celebre metafora inglese, allora questa storia ne è la conferma.
Apparentemente semplice, il racconto si arricchisce di metafore che ricompongono, tassello dopo tassello, il puzzle della psiche di Iago: edonista e ossessionato dall’onnipotenza. La sua ambizione principale è scalare la gerarchia criminale, raggiungere la vetta e sovvertire l’ordine che lo tiene schiacciato.
Lui si sente tradito e umiliato dalla posizione che ricopre, attribuendone la colpa a Otello, un tempo caro amico, ora visto come un usurpatore: “l’extracomunitario” che gli ha negato il ruolo di prestigio che quest’ultimo ritiene gli spettasse di diritto, oltre ad avergli sottratto Desdemona.
In questa versione, Desdemona è non solo moglie di Otello, ma figlia di un potente boss della Roma criminale degli anni 2000. Diventare il marito di Desdemona significa conquistare un’influenza diretta sul potere; mentre sottrarre la posizione a Otello implica assicurarsi il comando assoluto, accanto al Doge, capo supremo della gerarchia mafiosa.
Per questo, Iago trama e manipola, non per gestire le attività criminali, ma per arrampicarsi, partendo dal fango fino alla vetta, desideroso di abbandonare una vita mediocre e infelice.
È oppresso da un matrimonio amaro con una moglie che non ama e che, in alcune scene, sembra persino desiderare non fosse mai nata. Questa tensione culmina nell’omicidio della moglie, che, astuta ma ingenua, scopre il piano diabolico del marito troppo tardi e tenta di smascherarlo.
Iago, per proteggersi, la uccide, ma il suo destino è già segnato.
Edoardo Leo, regista dell’opera, costruisce uno Iago straordinariamente complesso, enfatizzandone il piacere perverso nel manipolare e giocare con chiunque, trattandoli come burattini. Il rispetto per l’originale shakespeariano è evidente: Leo non altera la struttura o gli eventi del dramma, ma inserisce la sua impronta personale negli “spazi bianchi” (come ha ammesso lui stesso), tra una conversazione e l’altra, tra un atto e l’altro. Non con dialoghi esplicativi, ma con immagini potenti e silenziose, che comunicano più di mille parole.
Un esempio significativo è la scena in cui Iago gioca con uno scarafaggio, simbolo del suo senso di onnipotenza.
Invece di schiacciarlo immediatamente, lo tormenta, lo insegue, lo illude di essere salvo, solo per bloccarlo con il piede poco dopo e riprendere il gioco. Questo momento riflette perfettamente il sadismo e il controllo che l’uomo esercita su chiunque consideri inferiore a sé.
Dall’altro lato, Otello, spogliato sia del ruolo di protagonista che di vittima centrale, si presenta comunque come vittima del gioco di Iago. È travolto dalla gelosia, ma anche da una mascolinità tossica e da un’ignoranza che lo rendono incapace di razionalizzare.
Quando i dubbi insinuati da Iago germogliano nella sua mente, Otello non cerca chiarimenti con Desdemona. Ogni interazione con lei si trasforma in uno scontro violento, dominato dalla convinzione che la donna abbia infangato il suo onore. Desdemona, così come Michele (il Cassio dell’originale), diventa oggetto della sua rabbia cieca, destinata al silenzio e alla distruzione.
Desdemona è descritta come un oggetto per il quale Otello ha perso qualsiasi interesse. Nonostante sia sua moglie, viene da lui percepita come una presenza infangata dalle mani di Michele, quindi deve essere ridotta al silenzio, esattamente come Michele stesso. Questa dinamica richiama ciò che accade nei fatti di cronaca quotidiana, dove la razionalità cede il posto agli impulsi: la gelosia feroce, la violenza cieca, l’uso delle armi, la cattiveria finiscono per alimentare uomini già pericolosi per la loro ignoranza.
Desdemona, in questo contesto, diventa una figura pericolosa, ma non per gli altri: per sé stessa.
La sua giovinezza e l’amore cieco verso il marito la rendono un personaggio incredibilmente ingenuo. La donna sopporta i primi abusi di Otello, non rendendosi conto che questi potrebbero trasformarsi in un’escalation di violenza domestica, se lui non decidesse invece di ucciderla poco dopo.
Quando Desdemona cerca conforto e aiuto, si rivolge a Emilia, la moglie di Iago, una donna più matura e sicuramente più esperta di abusi e violenze. Tuttavia, la ragazza respinge i consigli e gli avvertimenti di Emilia, insistendo sul fatto che Otello non potrebbe mai farle del male. Anche se lo facesse, dice, lei lo perdonerebbe, perché il suo amore è più grande di qualsiasi altra emozione o dolore.
Il film sottolinea come, pur essendo le principali vittime della storia, le donne siano in netta minoranza rispetto agli uomini: solo due figure femminili in un cast dominato dalla presenza maschile.
Questa scelta, tuttavia, è una dichiarazione di fedeltà all’opera originale di Shakespeare, ambientata in un periodo storico in cui il teatro era esclusivamente maschile, e i ruoli femminili erano interpretati sempre da uomini. Nonostante la loro scarsa presenza, le donne in questo dramma riescono a lasciare un segno profondo.
Ogni loro apparizione ha un impatto significativo, il monologo di Emilia verso la fine del film la rende protagonista assoluta, superando per intensità e importanza qualunque altro personaggio maschile.
All’inizio, la donna può sembrare una peccatrice pragmatica, che accetta la possibilità di commettere piccoli peccati pur di raggiungere un obiettivo più grande. Ma, come spiega lei stessa a Desdemona, la sua non è un’adesione al male fine a sé stessa: è un atto di riscatto.
Emilia desidera ribellarsi a un mondo profondamente maschilista e violento, un sistema che opprime le donne e le tratta come oggetti fragili.
Lei è consapevole della brutalità di questa dinamica, che paragona poeticamente ai fiori: creature bellissime e profumate che, una volta raccolte con violenza, appassiscono e marciscono sotto il peso della crudeltà dell’uomo.
Il simbolismo del film si arricchisce ulteriormente con la scena di un pesce abbandonato su uno scoglio e divorato dai vermi.
Questo destino metaforico riflette ciò che accade anche ad Emilia: una creatura della natura che, attraverso abusi, cattiverie e violenze, è stata corrotta e fatta marcire.
Quando parla con Desdemona, lei appare già profondamente segnata, quasi putrefatta dalla sofferenza accumulata. I “vermi” che la consumano dall’interno sono le esperienze di abusi e crudeltà che hanno scavato in lei ferite profonde. Questa condizione traspare in modo evidente, sia nel tono delle sue parole, cariche di rassegnazione e dolore, sia nelle espressioni del suo volto.
Nel dialogo con Desdemona, Emilia affronta temi come i peccati, la morte e la violenza, rivelando una visione disillusa e oscura, nata dall’amara consapevolezza di un mondo brutale e ingiusto.
Lo spettatore, in questo caso, non è un semplice osservatore passivo della storia. Grazie all’uso della telecamera mobile del regista, che accompagna i flashback rappresentativi della tragedia di Otello — o, più precisamente, della storia dell’ascesa e caduta di Iago —, lo spettatore diventa una parte attiva della vicenda.
Si ritrova seduto davanti ad uno Iago invecchiato, rinchiuso in carcere, apparentemente intento a confessare. Eppure, nonostante il racconto, i dubbi sulla veridicità delle sue parole permangono, specialmente con la frase finale che chiude la storia, lasciando lo spettatore mentre Iago viene abbandonato per sempre nella sua cella.
Analisi del finale di “Non sono quello che sono”
Nel finale, lo spettatore si trova di fronte ad un ruolo particolarmente scomodo: diventa un testimone oculare degli eventi drammatici narrati nei flashback, della fine delle persone coinvolte e della verità che ha portato a tutto ciò.
Questa posizione lo obbliga a confrontarsi con una verità brutale e complessa, che destabilizza le aspettative tradizionali: né Otello né Iago possono essere considerati vittime. Al contrario, entrambi si rivelano carnefici, attori principali di un dramma che travolge ogni cosa e persona intorno a loro.
In questa spirale di violenza e manipolazione, le vere vittime sono le donne, le quali subiscono le conseguenze più devastanti: non perdono soltanto la vita, ma anche il rispetto, l’amore e la possibilità di essere felici.
Otello, pur rispettando l’epilogo della tragedia shakespeariana con il suicidio, appare ormai come un uomo distrutto, un’anima corrotta e resa folle dalla gelosia e dalla rabbia. Non si pente del gesto più terribile della sua vita, l’omicidio di Desdemona.
Non riconosce il valore umano della moglie che ha ucciso, ma si tormenta esclusivamente per il fatto che lui stesso ha dovuto essere il carnefice di ciò che una volta amava e che ora disprezzava.
La sua incapacità di affrontare la realtà si manifesta con chiarezza quando scopre la verità: invece di cercare giustizia o vendicarsi di Iago, sceglie la fuga, confermando il suo atteggiamento egocentrico. Ancora una volta, Otello antepone sé stesso a tutto il resto, rifuggendo ogni responsabilità e lasciando Desdemona — innocente e brutalmente sacrificata — senza alcuna redenzione.
La figura di Otello, così come viene rappresentata, diventa l’incarnazione di una mascolinità tossica e autodistruttiva. Sul finale non è vittima di Iago, ma del suo stesso orgoglio e delle sue insicurezze, che lo spingono a vedere tradimenti dove non esistono.
Desdemona, d’altra parte, è il simbolo delle donne sacrificate in un mondo dominato da dinamiche patriarcali e violente, dove la gelosia e il possesso diventano strumenti di controllo. Il suo omicidio non è solo il punto di non ritorno per Otello, ma anche un potente monito sulla fragilità delle relazioni umane quando fondate su un’idea distorta di amore.
Lo spettatore, immerso in questa narrazione cupa, è lasciato con la sensazione che non ci siano vincitori in questa storia. Iago e Otello distruggono non solo le donne della loro vita, ma anche sé stessi. Tuttavia, le donne pagano il prezzo più alto, diventando vittime della violenza fisica, emotiva e psicologica di un sistema che le riduce a oggetti di contesa e a pedine in giochi di potere. In questo modo, il film amplifica il messaggio universale della tragedia shakespeariana, rendendolo estremamente attuale e dolorosamente rilevante.
Opinione finale con voto
In conclusione, che si arrivi al film con una conoscenza approfondita dell’opera di Shakespeare o che lo si affronti con ingenuità, pensando sia solo l’ennesima storia in stile “Suburra” o “Gomorra”, incentrata su tradimenti tra criminali incalliti, questo film merita di essere visto.
Si spera che possa lasciare un segno nella mente di uomini e donne, ragazzi e ragazze, stimolando una riflessione profonda. L’auspicio è che questo contribuisca, anche solo in minima parte, a ridurre drasticamente quei fatti di cronaca nera che, purtroppo, continuano a essere tragicamente frequenti nella realtà quotidiana.
Questa rilettura di Otello evidenzia un aspetto drammaticamente attuale: la perdita di razionalità e l’esplosione della violenza, dinamiche spaventosamente contemporanee, oggi più di quanto non lo fossero all’epoca di Shakespeare. Attraverso la lente di Edoardo Leo, Iago emerge come un personaggio affascinante e mostruoso, protagonista di una tragedia senza tempo che continua a parlare al nostro presente.
Voto: 7/10
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