Opus – La nostra recensione del nuovo thriller targato A24! (2025)
“Opus” è il nuovo film di Mark Anthony Green, qui al suo debutto come regista e sceneggiatore: distribuito da A24, il film è uscito nelle sale italiane il 27 marzo. Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!
La recensione di “Opus” sarà strutturata in queste parti: recensione no-spoiler (per chi vuole un primo parere sul film, ma non l’ha ancora visto), recensione spoiler, analisi del finale e concludendo con l’opinione finale riassuntiva.

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Recensione no-spoiler di “Opus”
Il film, oltre a essere come già accennato prima scritto e diretto da Green stesso, vanta un cast corale che comprende Ayo Edebiri (“The Bear”, “Bottoms”), John Malkovich (“Being John Malkovich”, “Of Mice and Men”), Juliette Lewis (“Natural Born Killers”, “Cape Fear”), Murray Bartlett (“The White Lotus” stagione 1) e Amber Midthunder (“Prey”).
Nonostante una premessa a primo avviso intrigante e la divertente performance di John Malkovich nel ruolo di Alfred Moretti, il film non decolla mai realmente e si presenta confuso sia sul piano logico che quello tecnico. Alcune scelte di fotografia e montaggio sono azzeccate, ma si perdono in una storia che diventa sempre più blanda con lo scorrere del film, oltre che essere sempre meno interessante.
Il grande cast viene completamente sprecato: ad eccezione di John Malkovich e della sua prova attoriale, le performance variano dallo spento al dimenticabile fino ad arrivare all’inutile. Ayo Edebiri offre una recitazione più pallida e svogliata dell’ennesimo suo personaggio comico, mentre il talento di star come Murray Bartlett e Juliette Lewis è ridotto a poche battute prive di ispirazione e mordente.
“Opus” è in definitiva un lavoro dimenticabile e segnato da pochi pregi tecnici e attoriali: i pochi che si elevano vengono sommersi da una grave mancanza di chiarezza espositiva e registica, oltre che da una storia dimenticabile e disinteressata.
Voto: 4/10

Recensione spoiler di “Opus”
Nell’industria cinematografica nel 95% dei casi ci si entra per contatti e corsie preferenziali: in un mondo dello spettacolo sempre più cinico e autocritico, è normale che molti prodotti riflettano sul contesto da dove essi stessi provengono, ma non sempre si pongono le domande giuste nell’affrontare la questione.
Mark Anthony Green nel mondo dell’intrattenimento ci nuota da un bel po’: giornalista per la rivista per uomini GQ, la sua esperienza lavorativa gli è stata di grande aiuto nella stesura e realizzazione di “Opus”, il quale titolo è già parlante e indirizza lo spettatore verso una miriade di tematiche che verranno trattate all’interno del film.

“Opus” inserisce la giovane giornalista Ariel Ecton (Ayo Edebiri) in una posizione abbastanza scomoda: sotto la guida del suo capo editoriale Stan (Murray Bartlett) è imprigionata in un ambiente di lavoro tossico e non soddisfacente. Sa di meritarsi ben di più di quel posto di lavoro per esprimere al meglio il suo talento, continuamente sfruttato e frenato dai meno meritevoli.
Tutto però cambia quando viene annunciato il ritorno sulle scene musicali del leggendario Alfred Moretti (John Malkovich), iconico cantante pop degli anni ‘90: nell’inviare in esclusiva un invito alla sua villa per far ascoltare il suo nuovo album alle personalità di spicco del mondo dello spettacolo, ciò che sorprende è l’arrivo di un invito anche per la giovane Ariel, la quale finalmente può dare prova di sé in un contesto elettrizzante.
La giovane, oltre al suo boss, si ritrova catapultata quindi in una magione assieme a tipi più che personaggi veri e propri: si ha la conduttrice televisiva di un talk show (Juliette Lewis), l’influencer, il paparazzo. Tutte figurine bidimensionali alle quali non viene dedicato un approfondimento dal regista, il quale sembra più concentrato a spuntare una lista della spesa che dedicarsi all’esplorazione di ciò che queste sagome potrebbero apportare al film.

Nel presentare Alfred Moretti e la sua comunità di levelists, Green riutilizza stilemi visti e rivisti in prodotti anche targati A24, senza apportare una sua curvatura personale: le similitudini con “Midsommar” di Ari Aster sono lampanti, così come altri lavori esterni alla casa di produzione indipendente come “The Menu” di Mark Mylod. John Malkovich riesce a fare quel che può con il materiale che ha, elevando Moretti a una personalità quantomeno carismatica e credibile anche a livello musicale: la colonna sonora curata da The-Dream è ben prodotta e rimane in testa, specialmente nel caso di “35mm”.
Ariel però non è convinta che sia tutto così idilliaco nell’armonia morettiana, la quale sembra rappresentare più chiaramente una setta che una comunità vera e propria: nelle sue indagini viene a scoprire di dettagli che dovrebbero inquietare, ma sono messi in scena così a caso che risultano più tragicomici che altro. La storia poi si incarta su sé stessa e non si muove mai in avanti, in un secondo atto lento e noioso che, tranne per qualche momento vagamente interessante, non offre nulla di memorabile.

La giovane giornalista, dopo aver scoperto delle teste di animali morti in un ripostiglio, decide di andarsene ma alla fine rimane ad assistere a uno show di marionette organizzato dall’amica conosciuta la serata prima. In ciò che dovrebbe essere uno shock visivo, l’influencer completamente deformata a livello facciale esce fuori da uno dei divanetti a pouf, ma anche in questo caso la sua presenza è talmente ingiustificata da essere fuorviante anche ai fini della trama stessa, rendendosi solo che ridicola.
Ariel riesce a scappare e, dopo aver scoperto che tutta la setta e Moretti si stavano preparando a un suicidio di massa, ha una colluttazione con la sua concierge (Amber Midthunder) nella quale perde conoscenza. Si risveglia legata a una sedia e viene costretta, assieme agli altri ospiti, a bere il veleno, ma una servitrice parte del culto di Moretti libera la giornalista prima che quest’ultima tocchi una goccia del liquido; nel caos generale Alfred Moretti prende fuoco e Ariel riesce a scappare dalla magione.

Analisi del finale di “Opus”
Il film successivamente si muove in avanti di due anni: Ariel è riuscita ad avere carriera grazie all’esperienza traumatica vissuta nella villa del cantante, ora trasposta in un libro. Si viene a scoprire che Alfred Moretti è sopravvissuto ed è stato imprigionato per gli omicidi di tutti gli invitati due anni prima, ma i corpi dei levelists facenti parte della setta non sono mai stati ritrovati. L’uomo chiede di parlare con Ariel e lei accetta: in un ultimo dialogo che invalida nuovamente ciò che il film vuole comunicare, il cantante rivela alla ragazza che i seguaci della sua setta sono solamente nascosti nella società e soprattutto sono ancora vivi.
L’ironia della vicenda risiede nel libro che Ariel stessa ha pubblicato, il quale contiene involontariamente anche l’ideologia fondante del culto di Moretti e alla quale sempre più persone stanno aderendo: la fuga della giornalista dalla sede della setta sarebbe da sempre stata programmata a quello scopo. Il film si conclude con un’ultima intervista ad Ariel, la quale nota con terrore che, sulla collana della conduttrice, è presente una perla caratteristica del culto di Moretti.

Opinione finale con voto
“Opus” è un film dimenticabile che sembra fare della sua derivatività il suo punto di forza, ma nel modo più sbagliato possibile: Mark Anthony Green scrive e dirige un prodotto privo di idee originali e una visione coerente, mentre i pochi punti forti come John Malkovich e qualche guizzo tecnico vengono affossati da un cast enormemente sprecato e da una mediocrità disarmante.
Voto: 4/10

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