Parthenope – La nostra recensione del nuovo e divisivo film di Sorrentino! (2024)
“Parthenope” è il nuovo e atteso film diretto dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino (“La grande bellezza”, “È stata la mano di Dio”): presentato in anteprima al 77° Festival di Cannes, è uscito nelle sale il 24 ottobre. Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!
La recensione di “Parthenope” sarà strutturata in queste parti: recensione no-spoiler (per chi vuole un primo parere sul film, ma non l’ha ancora visto), recensione spoiler, analisi del finale e concludendo con l’opinione finale riassuntiva.
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Recensione no-spoiler di “Parthenope”
Il film ha come protagonista l’esordiente Celeste Dalla Porta nel ruolo di Parthenope, affiancata da un cast corale che comprende Stefania Sandrelli, Luisa Ranieri (“È stata la mano di Dio”), Gary Oldman (“Oppenheimer“), Silvio Orlando (“Il sol dell’avvenire”), Peppe Lanzetta, Isabella Ferrari (“La grande bellezza”), Dario Aita e Daniele Rienzo.
“Parthenope” immerge lo spettatore nella Napoli degli anni ’70 e ’80 tramite la vita della protagonista: Sorrentino si serve inoltre di una squisita fotografia e di una colonna sonora malinconica come la stessa Parthenope. Celeste Dalla Porta, alla prima esperienza attoriale, è l’incarnazione della femminilità misteriosa sorrentiniana: sta allo spettatore decidere se lasciarsi ammaliare da essa o meno nella scoperta del personaggio.
A livello tecnico il film è spettacolare: la regia di Sorrentino esplora con campi larghissimi la sua Napoli e la ritrae come una gigantesca opera d’arte, rendendo Parthenope il fulcro di ogni quadro; i primi piani e i particolari che la ritraggono spesso sono sensuali ma allo stesso tempo distanti, idealizzando la protagonista e donandole un’aura ultraterrena alla quale è impossibile rimanere indifferenti.
“Parthenope” è un film denso di allegorie e simboli, un viaggio per le strade nascoste e tra le onde tumultuose del capoluogo campano: il cast corale si fregia di ottime interpretazioni, prime su tutte Celeste Dalla Porta, Silvio Orlando e Gary Oldman, oltre che di un reparto fotografico eccellente. Unica nota che potrebbe far storcere il naso a più di qualcuno è il ritmo decisamente lento, ma ciò passa in secondo piano di fronte alla grande bellezza che, anche stavolta, Sorrentino riesce a mostrare in tutto il suo opulento splendore.
Voto: 9/10
Recensione Spoiler di “Parthenope”
Era il 2021 quando alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia venne presentato “È stata la mano di Dio”: un film decisamente personale per il regista de “La grande bellezza”, il quale prende per mano lo spettatore e si rivela ad esso tramite un’intimità e tenerezza quasi famigliari. La stessa città in cui è ambientato il film, Napoli, riesce a trasmettere affetto e calore anche nei momenti più bui e influenzando le relazioni interpersonali del protagonista Fabietto Schisa.
Il ritorno registico di Paolo Sorrentino nel capoluogo campano non era scontato, soprattutto scrivendo e girando un prodotto completamente differente nelle intenzioni tanto quanto nella messa in scena dal lavoro precedente: se “È stata la mano di Dio“ è il fratello calmo, timido e discreto, “Parthenope“ è il più passionale, esuberante e decisamente esibizionista dei due. Nonostante siano narrativamente differenti condividono lo stesso contesto, indispensabile per comprendere a pieno le intenzioni del nuovo lavoro del regista.
Il film si apre con una scena di parto: la secondogenita della famiglia Di Sangro nasce nelle acque cristalline di Posillipo all’inizio degli anni ‘50, sotto lo sguardo del fratellino Raimondo e di Sandrino, figlio della governante e amico di Raimondo. La bambina viene battezzata dal padre col nome di Parthenope, la sirena dalla quale secondo la mitologia classica sarebbe nata la città di Napoli.
Parthenope nasce quindi direttamente dal mare, spunto il quale nella scena successiva si sviluppa in un’interessante parallelismo sempre derivante dalla cultura greca: Sorrentino riprende la protagonista (Celeste Dalla Porta), ora vent’enne, mentre esce direttamente dall’acqua in tutto il suo splendore giovanile. I movimenti di macchina indugiano sul suo corpo in maniera sensuale ma mai volgare, donandole un’aura di fascino e bellezza ultraterreni: per certi versi sembra la nascita di una moderna Venere, originata dalle onde come nel famosissimo mito.
Per tutta la prima parte del film Parthenope (e allo stesso tempo Celeste Dalla Porta) è l’incarnazione della bellezza femminile utopica, irraggiungibile, piena di segreti: la regia e la fotografia si sposano in un connubio che dà vita a quadri sontuosi e armoniosi, dai colori caldi e accesi. Parthenope è bella e ne è consapevole, sicura nei suoi atteggiamenti e movenze e dal fascino irresistibile che contagia chiunque a partire da Sandrino (da sempre innamorato di lei) e Raimondo, il quale nei confronti della sorella ha un’ossessione di natura vagamente incestuosa.
Nel periodo di vacanze estive dall’università, nella quale la protagonista frequenta il corso di antropologia tenuto dal severo professor Devoto Marotta (Silvio Orlando), Parthenope, Sandrino e Raimondo vanno in vacanza a Capri: anche qui la ragazza non passa inosservata per la sua straordinaria bellezza e il carattere disinvolto, catturando le attenzioni di un ricco imprenditore e dello scrittore John Cheever (Gary Oldman). È con quest’ultimo che Parthenope comincia a rivelarsi come ben più che una semplice protagonista: tra lei e lo scrittore non è presente nessun tipo di chimica o intesa sessuale, ma solo tenerezza.
John, alcolizzato e tormentato dai demoni del suo passato, cerca solo sollievo nella bellezza e gentilezza della stessa Parthenope, la quale grazie alla sua giovinezza può avere tutto senza nemmeno chiedere (come detto dallo stesso John): inquadrati da Sorrentino in un’atmosfera sognante e malinconica, la ragazza diventa per lo scrittore la sua Beatrice dantesca, in uno scambio drammatico e quasi teatrale retto splendidamente da entrambi gli attori.
Se la protagonista assume una valenza salvifica per Cheever, per l’imprenditore invaghitosi di lei invece è completamente l’opposto: non servono a niente le promesse di ricchezza e benestare dell’uomo, a Parthenope non interessa il materialismo e da esso non viene mai comprata e corrotta. È distante e irraggiungibile anche per Sandrino e Raimondo, i quali ballano assieme a lei sotto le note di “Era già tutto previsto” di Cocciante: un monito per loro e per lo spettatore perché tutto ha una fine, soprattutto quando si parla di tempi più spensierati e passati.
La morte di Raimondo quindi non sorprende ma è una fine naturale per un personaggio incapace di amare qualcuno al di fuori della sorella, la quale aveva avuto un rapporto sessuale proprio con Sandrino, il migliore amico di Raimondo: l’evento tragico porterà a una rottura insanabile tra Parthenope e i suoi genitori, i quali la reputano colpevole del suicidio del fratello. Per la protagonista è una perdita dell’innocenza giovanile dalla quale non riuscirà più a riprendersi completamente e un punto di svolta tematico importante della pellicola, la quale d’ora in poi assume nella seconda metà uno sguardo più cupo e oscuro.
Il film si sposta ancora in avanti nel tempo, arrivando nel 1974: Parthenope dopo aver richiesto la tesi al professor Marotta (il quale le propone di analizzare l’impatto del miracolo) interrompe gli studi e, ricordandosi di un’agente che la aveva notata a Capri, la contatta per intraprendere una carriera attoriale. Viene reindirizzata da Flora Malva (Isabella Ferrari) e successivamente Greta Cool (Luisa Ranieri), due dive del cinema attraverso le quali Sorrentino offre un lato spesso nascosto del mondo dello spettacolo.
Se la prima è personificazione della solitudine che comporta la fama e la gloria, costretta a nascondersi dopo un intervento chirurgico andato male, è però la seconda che avverte Parthenope di non farsi abbindolare dalla mondanità e dall’affetto delle persone della sua terra. Greta Cool vive da anni a Milano e incolpa i napoletani di non averla mai apprezzata come avrebbero dovuto, rinnegando le sue origini napoletane: l’ex-attrice è disunita nelle sue stesse radici e ciò le provoca un tormento interiore dal quale è impossibile liberarsi.
In concomitanza con l’incontro di Greta Cool, Parthenope conosce Roberto Criscuolo (Marlon Joubert), il quale nell’accompagnarla nelle vie buie e tortuose della periferia di Napoli scopre la miseria che pervade gli angoli più poveri della città: assiste poi all’unione di due famiglie mafiose mediante il concepimento pubblico di un figlio tra gli eredi dei due nuclei famigliari, per porre fine alla faida che li coinvolge.
È in questo momento che nella passività della protagonista Sorrentino disvela indirettamente Parthenope come personificazione di Napoli. Tutto ciò che è stato mostrato nel film è un viaggio alla scoperta delle mille sfaccettature della città: bella, passionale, misteriosa, oscura, criptica, ammaliante come la stessa Parthenope, la quale dopo essersi laureata con ottimi voti diventa assistente del professor Marotta.
Negli anni ’80 la giovane donna viene contattata dal cardinale Tesorone (Peppe Lanzetta) per scrivere un articolo sul miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro: nonostante le raccomandazioni di Marotta sulla personalità viscida del prelato, Parthenope accetta l’incarico. Alla messa dove sarebbe dovuto avvenire il fenomeno non succede nulla e Tesorone, dopo la celebrazione, ricopre la protagonista col tesoro di San Gennaro a mo’ di vestito.
Bardata d’oro e pietre preziose, Parthenope diviene l’incarnazione della Napoli sfarzosa, barocca, eccessiva e profana: una città dove secondo le stesse parole del cardinale superstizione e mondanità si fondono in qualcosa di ben diverso dalla spiritualità religiosa in senso lato. Sorrentino confeziona quindi un segmento tanto provocatorio quanto affascinante e ipnotico, il quale culmina in un montaggio alternato tra il rapporto sessuale di Parthenope e Tesorone e la reliquia di San Gennaro, la quale si liquefà.
L’esperienza con il cardinale turba la protagonista profondamente: nella decisione di seguire le orme del professor Marotta e prendere la cattedra universitaria di antropologia dopo che quest’ultimo sarebbe andato in pensione, si trasferisce a Trento per un paio d’anni. Prima della partenza, Marotta le fa conoscere suo figlio, un enorme essere “fatto di acqua e sale, come il mare” come spiegato dal vecchio professore. Un’immagine al limite tra il grottesco e l’inquietante, nella quale forse il senso sta proprio nella definizione di Marotta: l’incarnazione del golfo di Napoli o, più in generale, del mare stesso.
Analisi del finale di “Parthenope”
Nella sequenza finale ambientata nel 2023, Parthenope è interpretata da Stefania Sandrelli: scelta interessante a livello di cast soprattutto per il suo passato di icona della sensualità femminile degli anni Sessanta. La protagonista è infine rimasta a Trento, dove ha appena concluso una brillante carriera accademica e decide di ritornare a Napoli.
Nell’anno della vittoria dello scudetto, Parthenope si guarda attorno: tutta la città è in festa e le persone di Napoli gioiscono come un’unica, grande folla. La donna ritorna anche a Capri, rimembrando il suo turbolento passato in mezzo a quel paradiso terrestre: in qualche modo fa pace con sé stessa e con un pizzico di malinconia si perde nella sua memoria. Il parallelismo con “È stata la mano di Dio” è lampante: Napoli per entrambi i protagonisti riesce ad essere una terra sicura e accogliente nonostante il dolore vissuto sia da Parthenope che Fabietto.
Tornata nuovamente a Napoli, nell’osservare un corteo di tifosi la donna sorride, serena: è qui che viene racchiuso il senso dell’opera di Sorrentino, un grandissimo trattato antropologico che esplora il rapporto tra Napoli e la sua gente, nel bene e nel male che il fascino di questa città comporta da centinaia e centinaia di anni.
Opinione finale con voto
“Parthenope“ è un film che risulta fin dalle sue premesse divisivo: fratello minore di “È stata la mano di Dio”, è un’opera sensuale che allontana lo spettatore per mezzo delle sue scelte narrative ma allo stesso tempo lo affascina, grazie alla regia splendida di Paolo Sorrentino e alla raffinatissima fotografia. Le interpretazioni di Celeste Dalla Porta, Silvio Orlando e Gary Oldman innalzano ulteriormente la qualità di un prodotto costellato da simbologie e significati nascosti: sta a chi guarda scoprirli per apprezzare e comprendere, per quanto possibile, la visione di una Napoli che seppur frantumata riesce ancora oggi ad attirare tutti nella sua controversa aura.
Voto: 9/10
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