Queer – La nostra recensione del nuovo film di Luca Guadagnino! (2024)
Luca Guadagnino torna, dopo due anni da ‘Bones and All’, alla Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia, il festival che lo vide esordire nel lontano 1999 con ‘The Protagonists’, un film-documentario molto peculiare con Tilda Swinton; lo fa a distanza di cinque mesi dal suo ultimo ‘Challengers’, successo di pubblico e critica con Josh O’Connor, Zendaya e Mike Faist nel cast. Torna quindi con una pellicola alquanto personale e intima: parliamo di ‘Queer’.
Si tratta di un adattamento dell’omonimo libro (“Checca” in italiano) di William Burroughs, che Guadagnino sognava di realizzare da moltissimi anni e che ora, finalmente, ha visto la luce. Nelle vesti del protagonista, chiamato William Lee, troviamo Daniel Craig, mentre il resto del cast è composto da nomi del calibro di Drew Starkey, Jason Schwartzman, Lesley Manville, Micheal Borremans, Andra Ursuta e David Lowery.
La recensione di ‘Queer’ sarà suddivisa in tre parti: una sezione fortemente priva di spoiler (dato che il film non è ancora stato rilasciato globalmente e, soprattutto, pochissime persone hanno avuto l’opportunità di vederlo, dal momento in cui è stato proiettato in appena cinque sale, per un totale di 7000 posti), una con spoiler e una spiegazione del finale. Infine, ci sarà un breve paragrafo in cui riassumiamo la nostra opinione generale, senza andare troppo nello specifico, con voto annesso.
Recensione No-Spoiler
Il film, come il libro, narra di un uomo omosessuale, William Lee (Daniel Craig), che si invaghisce di un ragazzo di nome Eugene (Drew Starkey). Più di questo non posso dirvi, in quanto sarebbe considerabile spoiler; perché questo è solo l’incipit di “Queer“, pellicola del 2024 (anche se ancora senza data d’uscita fissata) per la regia di Luca Guadagnino.
E di Guadagnino si ritrova molto e poco allo stesso tempo: il tema dell’omosessualità era difatti già affrontato in quasi ogni suo film (in “Chiamami col tuo nome” in modo più esplicito, in “Bones and all” con il cannibalismo e così via), mentre nell’estetica ce l’ho visto meno; in effetti, alcune inquadrature, scelte registiche e fotografiche, così come la decisione di girare il tutto nei set costruiti a mano di Cinecittà, richiamano molto anche il cinema di Wes Anderson, con quella regia maniacale. Infatti la regia di Guadagnino in questo “Queer” è, come appena detto per Anderson, maniacale.
Ogni inquadratura, come i numerosi piani sequenza, è perfettamente studiata e piazzata per un motivo. Decisamente l’opera più matura a livello pratico del regista nostrano.
Altri due fattori sopracitati sono la fotografia e i set, entrambi da lodare. Sayombhu Mukdeeprom, direttore della fotografia del film, è stato a dir poco sopraffino. Già aveva lavorato a progetti come i recenti “Trap” e “Challengers“, ma anche a titoli come “Chiamami col tuo nome” o “Finalmente l’alba“. Ogni scena è quasi monocromatica, non mischia troppi colori e non crea confusione. La bellezza di questi shot è però assistita dalle mitiche scenografie, realizzate del tutto a mano e appositamente per questa pellicola; vi consiglio di vederla tenendo a mente che il tutto è finto e realizzato appositamente per essa, così sarete ancora più allibiti dalla spettacolarità del film.
Vi starete sicuramente chiedendo due cose a questo punto della recensione priva di spoiler: Daniel Craig è stato davvero così bravo? E le scene di sesso sono così scandalose? Ebbene, rispondo subito a entrambe:
Daniel Craig all’età di 56 anni ha deciso di mollare la sua icona da James Bond e di prestarsi a un ruolo che lo stesso Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra, ha giudicato “alquanto inconsueta“. E in effetti è così, perché vedere Craig andare a letto con degli uomini sarà un colpo abbastanza basso per coloro che sono abituati a vederlo in smoking mentre insegue i suoi bersagli. Però, detto questo, sarà stato all’altezza? La risposta è, scontatamente, sì! Craig (che ho anche potuto incontrare proprio al Lido) è stato straordinario nella sua interpretazione di questo uomo sulla sessantina in cerca del suo uomo.
Per quanto mi riguarda, sarebbe meritevole del premio Oscar, nonostante non abbia ancora visto “The Brutalist” e “Sing Sing“, i quali dovrebbero avere gli altri due attori a contenderlo (rispettivamente Adrien Brody e Colman Domingo). L’Academy valuta molto spesso anche il trascorso dei candidati a livello attoriale, vedasi Robert Downey Jr. l’anno scorso, quindi potrebbe essere un ottimo vincitore. Ma è forse un po’ troppo presto per parlarne.
Le scene di sesso, che tra l’altro hanno sempre Craig protagonista, sono state troppo pompate. Sono certamente esplicitissime e non si limitano affatto (motivo per il quale la proiezione era vietata ai minori di 14 anni), ma sono solo tre, di cui una tagliata prima che l’amplesso abbia inizio. Inoltre, essendo stati entrambi in concorso alla Mostra di Venezia, viene naturale il paragone con il “Povere Creature” di Yorgos Lanthimos, che era di gran lunga più scandaloso, tra scene di sesso davanti a bambini e prostituzione.
Infine l’unica cosa che avrei da criticare, il motivo per cui “Queer” non riceverà un 10/10, bensì un 9½/10: il ritmo è davvero pessimo. Il film è diviso in tre capitoli e un epilogo, e ognuno ha un ritmo diverso. Il primo, il più lungo, di circa un’ora e un quarto, aveva un ritmo serratissimo. Andando avanti con la durata, però, il ritmo faceva retromarcia, diventando a tratti lentissimo, con inquadrature fisse che nel primo atto erano praticamente assenti.
Voto: 9½/10
Recensione Spoiler
Inizierò questa recensione spoiler riassumendo il film fino alla fine del quarto capitolo (che sfocerà nell’analisi del finale), seguendo con un approfondimento di ciò che c’è da approfondire con spoiler.
“Queer” si apre col botto: Lee rimorchia e porta a letto un uomo, con la prima scena di sesso a schermo (per quando poi venga interrotta poco prima che venga consumato l’amplesso). Così si premette già che il film sarà esplicito, scurrile, ma allo stesso tempo bellissimo, complice anche quell’indimenticabile piano sequenza con “Come as you are” dei Nirvana (che ho ascoltato anche per scrivere questa recensione).
Un giorno, andando allo Ship Ahoy, il locale che vede protagonista molte delle vicende del film, William vede Eugene, e se ne invaghisce. Così comincia a frequentarlo, senza riuscire a capire se lui sia omosessuale o meno. Una sera, però, gli pone la fatidica domanda: “Sei mai stato con un uomo?”, alla quale lui risponde di no. La sera stessa, Lee riesce a portarlo a letto, con forse la scena di sesso più scandalosa di tutta la pellicola, lunga circa tre minuti.
È così che i protagonisti cominciano a frequentarsi, finché Lee non gli chiede di partire verso il Sud America alla ricerca di una droga chiamata yage, capace di fare leggere le menti delle persone. Il primo capitolo finisce, ed è quello che reputo migliore. L’estetica è fantastica e le case sono volutamente plasticose. La regia però raggiungerà il suo apice massimo con l’arrivo del secondo capitolo, che si apre con l’arrivo dei due a destinazione.
Il secondo capitolo è quello che, in generale, ho apprezzato meno. Durerà massimo 15 minuti e ruota del tutti attorno al personaggio di Daniel Craig affetto da dissenteria (ma non dimentichiamoci l’ultima scena di sesso del film, alquanto scandalosa, seppur non quanto la precedente).
Spostiamoci però al terzo capitolo, da dove il film diventa peculiare, onirico e da interpretare:
Lee e Gene sono finalmente arrivati nella giungla, per trovare questa yage. Stanno cercando una donna che possa istruirli sull’utilizzo di questa droga, e finalmente la trovano. Bussano alla porta e un serpente li attacca; allora l’anziana signora fuoriesce dalla sua abitazione per comunicare telepaticamente col serpente, grazie alla yage. Segue una parte abbastanza inutile ai fini della trama, ma che si lascia comunque guardare grazie alla sua spettacolarità visiva e all’interpretazione di Craig. L’ultima sequenza prima dell’analisi del finale ritrae William scoprire che la yage, in realtà, è sempre stata sotto ai suoi occhi. Ma il riassunto prosegue nel prossimo capitolo di questa recensione!
Mi sono dunque segnato tre argomenti di cui vorrei parlarvi riguardanti questo e altri film:
L’ho innanzitutto trovato una perfetta controparte di “Challengers“, altro film di Guadagnino uscito ad aprile nei cinema nostrani. In quella pellicola, il tema principale era l’attrazione sessuale, per quanto non ne venisse mai mostrato nemmeno un accenno. In “Queer“, invece, il sesso è mostrato senza alcun filtro, ma è del tutto marginale. Decisamente un’osservazione che ho trovato molto affascinante e che volevo farvi notare. Un altro paragone con un altro film del regista italiano sarebbe con “Bones and all“, in quanto sono gli unici due prodotti di fantasia da lui diretti: nell’appena citato film, la fantasia (seppur verosimile) girava attorno ai cannibali; in questo, invece, la yage è un elemento di pura fantasia.
Inoltre, ho trovato la struttura di questo film molto Lynchiana. Vedasi pellicole come “Mulholland Drive” e “Velluto Blu“, ma anche la serie TV “Twin Peaks“: iniziano come thriller regolarissimi, per poi diventare folli nel finale. Questo confronto fa però anche molto riflettere, in quanto sia stato proprio questo il motivo per cui gran parte del pubblico a Venezia non l’abbia apprezzato. Non so se il nesso tra i due l’abbia trovato solo io, ma questo significherebbe che Lynch può permettersi di fare del tipo di cinema così ma Guadagnino no.
L’ultima cosa che volevo, questa volta, criticare è una che ha fatto discutere abbastanza in redazione quando l’ho presentata: parliamo della traduzione italiana della parola “queer“, tradotta con il termine volgare “frocio“. Molti potrebbero trovarlo azzeccato in quanto il film è ambientato negli anni ‘40/’50, ma comunque ci sarebbero stati tanti altri modi per dire la stessa cosa. “Omosessuale” sarebbe andato bene, ma forse non avrebbe cozzato con la mimica facciale di colui che pronuncia la parola perché troppo lunga. Penso comunque che sei modi meno offensivi per dirlo si sarebbero potuti trovare a prescindere, e non ho apprezzato molto questa scelta di traduzione.
Spiegazione del finale
Per quest’analisi del finale partirò da poco prima della fine del terzo capitolo, da dove “Queer” diventa onirico:
I due protagonisti assumono finalmente la yage, per poi dover celebrare un rituale con i due anziani per farle fare effetto. In un secondo momento, William e Eugene si ritrovano a parlare nel retro della casa nella giungla, dove, di colpo, espellono una bolla dalla bocca che, esplodendo, rilascia i loro cuori. Segue una scena in cui scopriamo che la droga ha effettivamente avuto successo: la coppia si legge nel pensiero, e il giovane pronuncia le parole “Io non sono come te”, indicando di non essere omosessuale.
Successivamente, una sequenza di circa cinque minuti ruba lo schermo. Assistiamo a una scena piuttosto disturbante e contorta, in cui gli amanti si fondono in un essere unico, mettendo in atto una specie di danza molto peculiare. Escono da questa visione, apparentemente nella loro mente, e nonostante Lee chieda al ragazzo di continuare, lui rifiuta. La mattina dopo decidono di incamminarsi verso casa. Così si rimettono sui loro passi nella giungla, dove con un’intelligente messa in scena si può intuire che Eugene stia cercando di fuggire.
L’epilogo del film, intitolato “Due anni dopo”, si apre con Lee che cade dal cielo stellato; così una fantastica transizione, in cui lui si ritrova nella spiaggia messicana vista precedentemente nel film. Allora, decide di tornare al paese che ha visto protagonista il primo capitolo, Città del Messico, per recarsi al locale… in ricerca di informazioni su Gene, per scoprire che, sei mesi prima, era scappato nuovamente con un uomo verso il Sud America, per non tornare più.
Qui ha inizio definitivamente la parte che definirei più arzigogolata e complessa:
Lee torna alla stanza d’hotel dove aveva consumato l’amplesso a inizio film, dove si addormenta. Così ha un sogno strano, in cui, in primis, trova una miniatura dell’albergo dove sta alloggiando attualmente. Si affaccia a una finestra di essa, e così il focus si sposta su un William che cammina tra i corridoi, con il suo occhio enorme che scruta da fuori. Allora si addentra in una stanza dove Gene, seduto su un letto, si posa un bicchiere di vetro in testa, sfidando il nostro Craig a farlo cadere; ebbene, quest’ultimo sfoggia una pistola e spara al co-protagonista.
L’ultima scena del film vede un William Lee anziano, ormai sulla novantina, ancora alloggiare nell’hotel. Si posa sul letto per addormentarsi, quando ha una visione di Eugene che lo abbraccia da dietro. Così il nostro protagonista perde dunque la vita, mentre a schermo appaiono delle luci arcobaleno.
Ora che vi ho riassunto tutto ciò, vi do la mia interpretazione:
Con l’incantesimo della yage da parte dell’anziana, Eugene e William diventano un essere unico, sputando i cuori, avendone uno solo condiviso e fondendosi. Ma, al ragazzo, tutto ciò non va bene, cerca un rapporto non troppo stretto ma carnale, e così decide di scappare dal protagonista.
Due anni dopo, egli torna a Città del Messico e ha una sua visione in sogno. Prova a dimenticarlo e cancellarlo definitivamente sparando alla sua figura, ma non riesce. E così, in punto di morte, il personaggio di Drew Starkey si palesa accanto a lui, non uscendo mai dai suoi pensieri.
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Opinione finale con voto
“Queer” di Luca Guadagnino è sicuramente l’opera più completa e matura, sia tecnicamente che personalmente, del regista (e personalmente l’ho amato alla follia). Nonostante degli evidenti problemi di ritmo, il resto non è che da lodare, soprattutto Daniel Craig, per cui tiferò sfegatatamente durante la notte degli Oscar.
Voto: 9½/10
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E voi, cosa ne pensate di questa recensione? Siete in hype per ‘Queer’? Andrete a vederlo una volta rilasciato? Fatecelo sapere qui sotto con un commento!