Cinema

Avicii: I’m Tim – Le nostre riflessioni sul nuovo toccante documentario di Henrik Burman! (2025)

Sono già quasi passati ben sette anni dalla tragica, misteriosa e prematura scomparsa di Tim Bergling, meglio noto come Avicii. Da molti considerato uno dei migliori DJ della storia, se non il migliore, Tim è stato un pioniere della musica elettronica, ma soprattutto una grande persona e un artista geniale, dallo stile inconfondibile ed estremamente originale.

Il 31 dicembre dello scorso anno è stato rilasciato l’ultimo documentario dedicato all’amato musicista: Avicii: I’m Tim, realizzato dal regista Henrik Burman. Prodotta da Netflix, l’opera fornisce un nuovo sguardo sulla vita del ragazzo di Stoccolma, arricchita da testimonianze di amici e personalità importanti – come David Guetta, Chris Martin, Dan Tyminski, Arash “Ash” Pournouri – e nuovi filmati privati mai visti prima.

Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!

Avicii
Avicii

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Le nostre riflessioni su “Avicii: I’m Tim”

Once upon a younger year
When all our shadows disappeared
The animals inside came out to play
Went face to face with all our fears
Learned our lessons through the tears
Made memories we knew would never fade

Pochi sono gli artisti in grado di affermarsi realmente all’interno del mondo della musica. Ancora meno sono quelli in grado di segnare un’intera generazione con la loro produzione, diventando eterni, immortali. Avicii risiede fra questi. Canzoni come “The Nights” (la cui prima strofa è riportata qua sopra), “Levels”, “Wake Me Up”, “Waiting For Love” sono destinate a riecheggiare nell’eternità; lo dimostrano gli ultimi minuti di Avicii: I’m Tim, dove una folla gremita di persone canta in lacrime al concerto tributo del 2019. Che piaccia o no, Tim Bergling ha segnato un’epoca, ha scritto la storia della musica e non solo.

La grandezza e l’incredibile impatto del giovane musicista svedese si evincono anche dagli elogi e dalla stima di altri importanti colleghi che hanno preso parte al documentario, come il leggendario DJ David Guetta e il frontman dei Coldplay, Chris Martin. Ciononostante, l’opera non santifica Tim e nemmeno lo rende un martire; al contrario, Burman restituisce una visione autentica e sincera di un semplice ragazzo di Stoccolma, insicuro e ansioso, che si diverte nel fare il suo lavoro. “Tutti” possiamo essere Avicii, delle superstar dalla fama planetaria, ma nessuno può essere Tim, un adolescente, un uomo timido, sensibile e introverso della Svezia orientale.

Il tema della ricerca di sé è uno snodo fondamentale dell’opera. Il rischio di perdere la propria identità in favore di un altro io, per ragioni di popolarità o di diverso genere, è sempre vivo, specie negli ultimi tempi, dove un paio di follower su Instagram sembrano essere più importanti di qualsiasi cosa. Quando qualcuno smarrisce sé stesso, perde tutto quello che ha: la sua unicità, la sua ricchezza, la sua bellezza in qualità di essere umano e, chiaramente, anche la felicità.

Tim ha passato i suoi migliori anni vivendo come una superstar, suonando fino a cinque volte a settimana, lavorando con gli artisti più famosi e influenti del mondo, guadagnando tanto… ma non era veramente lui. A muoversi e parlare era Avicii: il personaggio, non la persona. Questo ha finito per causargli un grave tormento interiore, un conflitto lacerante e doloroso, un profondo disagio. Il sorriso e la spensieratezza con cui dice finalmente riesce a dire “sono Tim”, in risposta alla domanda “chi sei? Avicii o Tim?”, parlano da soli.

Questa dualità è spesso accentuata all’interno dell’industria musicale, dove la pressione è elevatissima e il mercato è molto competitivo. “Non si può avere un solo incontro con qualcuno del settore senza che ti parli continuamente di statistiche o del perché una cosa sia meglio di un’altra”, dice il DJ a un certo punto del documentario, aggiungendo che la major è arrivata persino a chiedergli di realizzare dei pezzi che potessero attirare l’attenzione del pubblico entro i primi cinque secondi di ascolto. Le frecciatine che Burman manda alle etichette discografiche sono velate, ma – allo stesso tempo – concise, efficaci e impossibili da fraintendere. Così facendo, il regista riporta in auge la questione riguardante l’aspetto mentale degli artisti nel mondo discografico.

La fretta e il senso di oppressione, quasi di soffocamento, sono enfatizzati da un montaggio rapido, veloce, dinamico, che non lascia spazio a momenti di calma e quiete. Lo spettatore viene continuamente rimbalzato fra la “tranquillità” delle interviste e l’adrenalina dei filmati privati di Avicii. Purtroppo, però, la durata è il più grande difetto del film, che cerca di condensare molti temi importanti in poco più di un’ora e mezza; altri venti minuti avrebbero sicuramente giovato al computo totale, permettendo di allungare maggiormente il materiale tratto dalle parole di amici, parenti e colleghi.

Il sogno di Tim era realizzare della musica che potesse essere immortale. Chissà come reagirebbe, se gli venisse data l’opportunità di vedere tutto l’amore che i suoi fan gli riservano tuttora. Chissà cosa darebbe per farlo. Ma soprattutto, chissà cosa sarebbe in grado di comunicarci ancora oggi.

Voto: 8/10

Avicii: I’m Tim”

E voi avete visto “Avicii: I’m Tim”? Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate!

Davide Citterio

Amante del cinema e dei fumetti, adoro follemente Richard Linklater, Hayao Miyazaki e la DC Comics. Nel tempo libero sono uno scrittore amatoriale e un aspirante sceneggiatore.

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