VarieCinema

The End – La nostra recensione dell’audace musical di Joshua Oppenheimer! (2025)

“The End” è il nuovo film del regista statunitense Joshua Oppenheimer (“L’atto di uccidere”, “The Look of Silence”): primo progetto del regista statunitense dopo dieci anni, è uscito in America il 10 gennaio su Amazon Prime Video. Noi di Nerd Al Quadrato l’abbiamo visto e siamo qui per dirvi la nostra!

La recensione di “The End” sarà strutturata in queste parti: recensione no-spoiler (per chi vuole un primo parere sul film, ma non l’ha ancora visto), recensione spoiler, analisi del finale e concludendo con l’opinione finale riassuntiva.

The End - La nostra recensione (2025)
Da sinistra: Michael Shannon, George MacKay, Moses Ingram e il regista Joshua Oppenheimer.

PER RESTARE SEMPRE AGGIORNATI SU TUTTE LE NEWS SUL MONDO DEL CINEMA, SEGUITE IL NOSTRO CANALE TELEGRAM!


Recensione no-spoiler di “The End”

Oltre a segnare il ritorno di Joshua Oppenheimer alla macchina da presa, “The End” è il primo progetto narrativo di finzione dopo due acclamati documentari, “L’atto di uccidere” (2012) e “The Look of Silence” (2014). Il film musical comprende un cast corale composto da Tilda Swinton (La stanza accanto, “Constantine”, “Suspiria”), George MacKay (“1917”, “The Beast”), Michael Shannon (“Animali notturni”, “Cena con delitto – Knives Out”) e Moses Ingram (“La regina degli scacchi”, Obi-Wan Kenobi).

“The End” si serve di un ottimo e curato comparto tecnico: la regia di Oppenheimer si focalizza su movimenti di macchina lenti e campi lunghi, donando al film sontuosità e valorizzando le grandi scenografie. La fotografia crea giochi di luce inaspettati e le canzoni non risultano noiose o inutili a sviluppare ulteriormente la vicenda. Il cast è eccellente nel destreggiarsi tra le parti più musicali e quelle drammatiche: George MacKay e Moses Ingram risultano i più convincenti, ma Tilda Swinton e Michael Shannon riescono comunque a cavarsela in maniera ottimale e soprattutto funzionale alla storia narrata.

È proprio nella sceneggiatura che il film riscontra i problemi principali: molte tematiche vengono introdotte e indagate solo in superficie, mentre spunti approfonditi nella prima parte del film vengono poi ripresi nella seconda e ritrattati con la stessa identica modalità. La durata del progetto (148 minuti) è inoltre segnata da un ritmo lento e non sempre gestito al meglio, il quale può rendere il film pesante e un brodo per certi versi allungato inutilmente.

“The End” in definitiva rimane un progetto ambizioso e confezionato in maniera ottima specialmente sul lato tecnico e musical: le performance sono ottime e le tematiche trattate da Joshua Oppenheimer provocano riflessioni interessanti, ma una sceneggiatura imperfetta e una durata eccessiva impediscono al film di elevarsi completamente a livello qualitativo.

Voto: 8.5/10

Voto:

The End - La nostra recensione (2025)
The End

Recensione spoiler di “The End”

Il 2024 cinematografico è stato sicuramente memorabile per tanti motivi, ma nessuno si sarebbe aspettato la grandissima presenza (e oserei quasi dire renaissance) del genere musical nelle sale: passando da lavori acclamatissimi come Wicked – Parte 1 ed Emilia Pérez (quest’ultimo fresco vincitore di quattro Golden Globes, il titolo più premiato dell’edizione di quest’anno) fino a progetti divisivi come Joker: Folie à Deux, il musical ha vissuto un anno molto interessante.

In mezzo alla moltitudine di progetti i quali ambiziosamente decostruiscono un genere di tale portata storica, è ancora più singolare la scelta di un regista come Joshua Oppenheimer nel cimentarsi nello stesso: “L’atto di uccidere” e “The Look of Silence” sono film documentari e lo stesso Oppenheimer è in questo caso alla prima esperienza nei film di finzione. In qualunque caso, “The End” sarebbe stato un salto nel vuoto sì per il regista, ma soprattutto per lo spettatore.

The End - La nostra recensione (2025)
Il cast di “Emilia Pérez” e il regista Jacques Audiard all’ultima edizione dei Golden Globes.

Il musical si apre con una citazione diretta del poeta Thomas S. Eliot (1888 – 1965), ripresa dai Four Quartets (clicca qui per saperne di più sull’opera e le tematiche, in lingua inglese):

The houses are all gone under the sea. The dancers are all gone under the hill.

Tratti dal poema East Coker (clicca qui per leggere il poema in lingua inglese e qui per la traduzione italiana), i due versi fin da subito impostano il tono del progetto e alcuni dei messaggi che verranno esplorati nel film. Ambientato una ventina d’anni dopo una catastrofe mondiale, The End esplora la vita dell’ultima famiglia sopravvissuta all’apocalisse da loro stessi creata: il Padre (Michael Shannon), la Madre (Tilda Swinton) e il Figlio (George MacKay) vivono assieme in un bunker sotterraneo assieme all’Amica della Madre (Bronagh Gallagher), il Maggiordomo (Tim McInnerny) e un Dottore (Lennie James).

Dalle prime inquadrature è tutto perfetto, forse troppo: Oppenheimer esplora l’ambiente della pulitissima e ineccepibile magione con movimenti di macchina lenti e misurati, così come il primo numero musical è immerso in un’atmosfera straniante e quasi immobile. “A Wonderful Gift” (questo il nome della prima canzone) è cantata dal Figlio, il quale esplora il suo diorama che ricostruisce vari eventi storici ai quali lui non ha mai preso e mai prenderà parte: la sua vita è iniziata e finirà nel bunker e la performance sfaccettata di MacKay aggiunge un che di infantile al personaggio, un bambino nel corpo di un giovane uomo in conflitto tra sé stesso e imprigionato nella sua stessa realtà esistenziale.

All’interno del bunker le giornate scorrono tutte uguali: le stanze sono arredate con opere di grandissimo valore artistico e disposte con cura dalla Madre, mentre il Figlio aiuta il Padre nella stesura della sua autobiografia e raccontando del mondo prima dell’apocalisse ambientale. Vengono fornite poche risposte alle possibili domande dello spettatore, i personaggi di Oppenheimer si muovono in un’opprimente scacchiera dai movimenti già predestinati e dalla quale è impossibile uscire.

The End - La nostra recensione (2025)
“The End”

Il regista posiziona il Figlio in una caverna di Platone sfarzosa e barocca creata dai suoi stessi genitori, in modo che essi appaiano come il miglior modello possibile per loro Figlio omettendo i lati più oscuri della loro vita pre-bunker. L’eccessivo calore famigliare è solo un tentativo di nascondere l’immensa solitudine di ognuno degli ospiti nel rifugio, rinchiusi nella loro prigione fino alla loro morte. Niente è perfetto come sembra, specialmente quando fuori dal rifugio verrà ritrovata una Ragazza priva di sensi (Moses Ingram).

Dall’arrivo di quest’ultima, l’apparente eden della Famiglia comincia a far intravedere le sue crepe: il Figlio comincia a fare domande sempre più scomode, mentre la Ragazza diviene un efficacissimo trigger per esplorare ancora più in profondità i protagonisti del bunker e le loro anime solitarie. Tutti quanti sono accomunati dall’aver lasciato chi amavano indietro in nome della pura e quasi egoistica sopravvivenza a ciò che loro stessi hanno causato, colpa e rimorso che riemergono dopo anni passati nelle bugie ripetute a loro stessi.

In tutto questo ribollire di tormenti interiori, è ancora più opprimente il senso di forzata apparenza che tutto vada bene, giorni i quali diventano immersi in una atemporalità snervante: “We Kept Our Distance” come numero musicale e come canzone suonano come un vano e freddo tentativo di simulare una convivialità la quale non riuscirà mai a essere abbastanza per la sopravvivenza di ognuno degli abitanti del bunker.

The End - La nostra recensione (2025)
“The End”

I numeri musical diventano sempre più barocchi e sofisticati man mano che il film va più avanti, nella decadenza di un futuro nel quale non esiste più nulla per il quale vale la pena lottare: la Ragazza viene accolta nella minuscola comunità e comincia ad abituarsi alle loro usanze, mentre festività come l’anno nuovo e il Natale vengono celebrate senza un reale calore e quasi per tentare di mantenere un’apparenza di normalità dove tutto ha perso ormai significato.

“Another Winter”  così diventa la canzone ideale per esprimere un devastante nichilismo soprattutto dalla Ragazza: la voce di Moses Ingram in mezzo a quelle della Famiglia è un disperato tentativo di rivelare la verità allo spettatore, mentre tutti gli altri continuano a ripetersi che tutto andrà bene se si sosterranno a vicenda, nel calore e nell’amore apparenti.

È interessante anche l’esplorazione di come la Ragazza cambi le dinamiche famigliari: il cambiamento più stimolante è il rapporto tra lei e la Madre, quest’ultima che cova un sentimento di antipatia per la nuova arrivata. In realtà lei e la Ragazza sono più simili di quanto la donna voglia ammettere: entrambe hanno lasciato indietro chi amavano per vivere una vita la quale però è diventata la loro stessa prigione, in un contrasto tra personaggi ben esplorato nel corso della durata del film.

The End - La nostra recensione (2025)
The End

Al netto delle due ore però, il peso del progetto comincia a farsi sentire, in una vicenda la quale non presenta mai dei colpi di scena effettivi o conflitti evidenti: Oppenheimer preferisce dilatare i tempi, imprigionando (forse intenzionalmente) lo stesso spettatore in quel bunker assieme ai protagonisti. Gabbie fisiche e soprattutto mentali vengono esplorate nell’immobilità degli stessi numeri musicali e nella stessa location, mentre il senso di colpa aleggia in ogni angolo, soffocando i protagonisti alla luce del loro fallimento come umani.

Anche gli stessi concetti ripetuti in “The End” cominciano a diventare stantii, in una sceneggiatura che si perde su sé stessa e in un terzo atto il quale risulta un’altra reiterazione delle stesse tematiche. Il Padre nel cantare “The Big Blue Sky” rimpiange malinconicamente una libertà che lui stesso ha privato al mondo intero a causa delle sue azioni (anche se, secondo lui, delle persone almeno gliene importava qualcosa a differenza delle altre compagnie energetiche).

Quanto alla Madre, tutto il suo malessere interiore e rimpianto in “The Mirror” vengono anche interconnessi alla sua situazione matrimoniale, moglie di un uomo che ha perso la sua capacità di donarle l’amore che merita: nel riflettere su sé stessa, la sua immagine è fredda e crudelmente rivelatrice come quella di uno specchio nel metterla davanti alla sua esistenza vuota di reali valori affettivi e umani.

Analisi del finale di “The End”

Non sorprende quindi che in “The End”  il finale non offra nessuna evoluzione e soprattutto redenzione per alcun membro nel bunker sotterraneo: l’Amica alla fine si suicida con una dose letale di pillole per il sonno a causa del senso di colpa, in quanto abbandonò il figlio dipendente dalla droga quando si trasferì nel bunker assieme alla Famiglia.

Lo stesso rimorso che emerge nel suo caso sembra tuttavia essere sparito nel resto degli ospiti: tramite uno stacco su nero è passato circa un anno e la Ragazza e il Figlio hanno avuto un bambino nel bunker. La Famiglia festeggia la nascita del bimbo nella stessa atmosfera opprimente e straniante, tutto è tornato alla presunta normalità: perfino la Ragazza sembra essersi dimenticata delle persone che ha lasciato indietro, abbracciando la sua nuova realtà esistenziale con apparente gioia.

The End - La nostra recensione (2025)
The End

L’ultimo numero musical è “Our Future Is Bright”, il quale se da un lato risulta quasi ironico nell’illusione di aver ritrovato una pace famigliare e nel riuscire a convivere con le proprie colpe, dall’altro esprime davvero una speranza flebile soprattutto nell’ultima inquadratura.

Alcuni micro-organismi galleggiano in quella che sembra essere acqua, quasi come stelle nell’universo, mentre all’ultimo secondo uno di essi comincia a muoversi. Oppenheimer ci avverte che per la famiglia di The End è troppo tardi ormai tornare indietro, ma forse non per noi e la nostra generazione: si può ancora cercare di rimediare, senza vivere consumati dal rimorso di non aver fatto tutto il possibile per evitare la catastrofe.

The End - La nostra recensione (2025)
The End

Opinione finale con voto

The Endè un musical atipico e dalle intenzioni e tematiche coraggiose, costellato da vari pregi: la fotografia e scenografia sono immacolate e grandiose, così come la regia di Oppenheimer e le performance del cast. Alcuni problemi di sceneggiatura e un ritmo troppo lento rendono però il progetto abbastanza pesante, il quale si conclude in un terzo atto ridondante e un po’ caotico.

Voto: 8.5/10

Voto:

The End - La nostra recensione (2025)
The End

E voi avete visto “The End”? Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate!

/ 5
Grazie per aver votato!