The Last of Us 2×02 – Analisi, easter egg e pareri sull’episodio! (2025)
Dopo un interessante primo episodio, è stato finalmente rilasciato anche il secondo episodio di The Last Of Us 2, e noi di Nerd Al Quadrato siamo qui con la nostra analisi completa!
⚠️ Attenzione: Spoiler su “The Last of Us” ⚠️
Il secondo episodio della nuova stagione di The Last of Us, andato in onda il 21 aprile 2025 e intitolato “Through the Valley”, dura 57 minuti e porta la firma registica di Mark Mylod, oltre ad uno degli eventi più traumatici di tutto il mondo videoludico.

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Analisi dell’episodio
Mylod orchestra un racconto in crescendo che si apre con l’incubo di Abby – una sequenza onirica che, già nei primi istanti, sussurra il tema portante della stagione: la vendetta, tema che senza dubbio riprende i temi videoludici dell’omonimo titolo.
Dalla vertigine di questo sogno si passa, tra una scena di Ellie e l’altra di Joel, a un attacco su larga scala contro la cittadina di Jackson. L’assedio è un fulmine televisivo: grandangoli che abbracciano l’orda di infetti nella neve, la faticata difesa tra fiamme e barili, e un sound design che mescola urla e spari tra le note di Gustavo Santaolalla.
Nel caos, Joel e Dina salvano Abby, ignari di chi abbiano davanti. La sceneggiatura usa l’azione per tessere un legame empatico effimero che renderà più feroce il tradimento finale. Quando i sopravvissuti si rifugiano in un vecchio lodge da sci, la macchina da presa si restringe in primi piani tremolanti; la tavolozza, firmata dalla direttrice della fotografia Ksenia Sereda (Chernobyl), passa dai grigi lattiginosi dell’esterno a interni giallo‑ocra, quasi malati.
Qui si consuma la tragedia. Il team di Abby raggiunge il rifugio; segue una brevissima negoziazione in cui la sceneggiatura non concede sconti allo spettatore: Joel realizza di fronte a Dina chi sia la ragazza che ha appena aiutato, e lo spettro di Salt Lake, ovvero ciò che abbiamo visto alla fine della prima stagione, torna a presentare il conto.

Il pestaggio con la mazza da golf, nel videogioco, si trasforma in un pestaggio puro e crudo, il quale è un crescendo di silenzi e colpi: Pedro Pascal regge la scena con lo sguardo, passando dal terrore puro alla remissiva consapevolezza di morire; Ellie, interpretata da Bella Ramsey, esplode in un urlo muto che vale da solo l’episodio. Su questa scena non si può (più) dire nulla in merito alla bravura di Bella Ramsey, la quale riesce in tutto e per tutto a coprire il ruolo particolarmente complesso di una Ellie dilaniata dalla scena.
Il risultato è un episodio che demistifica l’eroe, innalza Abby a contraltare tragico e imposta la stagione su un binario di dolore e resa dei conti. Se c’è un limite, sta nel fatto che lo script concede poco spazio alla complessità interiore di Abby: per chi non ha giocato, la sua motivazione resta abbozzata, relegata a un paio di battute sul padre. Ma la regia aiuta con indizi visivi – quel tremito nella stretta delle mani, gli occhi lucidi dopo il colpo finale – che lasciano intravedere le crepe sotto la corazza.
Pedro Pascal offre un’ultima prova sobria, quasi malinconica, mostrando un Joel stanco, più vecchio, più umano. Bella Ramsey, nel finale, è finalmente convincente nel suo dolore: non grida come nel gioco, ma si spezza piano, rendendo credibile una Ellie che finora faticava ad allinearsi alla sua controparte videoludica.
In definitiva, “Through the Valley” è un’ora di televisione che osa: mette a fuoco il ciclo della violenza senza scorciatoie morali, alza l’asticella dell’action crudo e conferma, forse una volta per tutte, Bella Ramsey come un Ellie capace di sostenere l’intera serie sulle proprie spalle.

Differenze tra il videogioco e la serie tv
Nel trasporre su schermo la tragica morte di Joel, questo episodio mantiene quasi intatto l’impianto del videogioco, ma opera tre scelte mirate che ricalibrano ritmo e prospettiva per il linguaggio televisivo.
La prima scelta si coglie già nel prologo: l’incubo di Abby, visto nel gioco come ricordo nitido della sala operatoria, diventa un sogno febbrile, illuminato da luci tremolanti e macchie di sangue che colano sul camice del padre. La serie, insomma, trasforma un semplice flashback in un presagio gotico, il quale dovrebbe spiegare le motivazioni del personaggio. Cosa che, come detto pocanzi, non accade totalmente per il poco spazio lasciato a ciò.
La seconda, più corposa, variazione riguarda l’assedio di Jackson. Laddove il gioco saltava direttamente al rifugio – lasciando implicitamente intendere che Joel ed Ellie si fossero allontanati durante una normale pattuglia – l’episodio inserisce una sequenza d’azione in piena regola: un’orda di runner e bloater sfonda la porta nord, la neve si tinge di sangue, la comunità è costretto a difendersi nascondendo donne e bambini e Joel, nel trambusto, salva proprio Abby. Questa parentesi epica ha una doppia funzione. Da un lato, rende credibile l’assenza di Tommy e degli altri nel momento cruciale; dall’altro, regala alla regia il respiro corale che il videogioco affidava a una sezione giocabile con Dina. Quest’ultima nella serie accompagna Joel nel salvataggio.

Inoltre, il videogioco è rigidamente separato in sezioni: prima controlli Joel, poi Ellie, poi Abby, con cambi netti. La serie, invece, alterna i punti di vista in modo più fluido. In questo episodio vediamo cosa accade fuori dal lodge mentre Ellie è all’interno (e viceversa), aumentandone la suspense. Lo spettatore è onnisciente, ma impotente (ne parleremo meglio dopo). Questo permette di costruire tensione in modo più narrativo che immersivo, adatto al ritmo televisivo.
La terza, ovvero la scelta di non spettacolarizzare la violenza fino in fondo ma di mantenerla “controllata”, al limite del mostrabile, è coraggiosa. Alcuni potrebbero leggerla come censura o ammorbidimento, ma in realtà permette alla scena di essere più universalmente tragica che brutalmente splatter. È il dolore a essere mostrato, non il sangue.
Tutto il resto – lo sguardo con cui Abby riconosce il cognome “Miller”, le urla di Ellie, la mazza che colpisce legno prima della carne – è riprodotto quasi frame‑by‑frame, segno di un rispetto filologico che la serie rivendica con orgoglio. Ma proprio quelle tre modifiche – presagio onirico, assedio spettacolare, ridimensionamento del gore – spostano l’esperienza dal joystick allo schermo domestico ricordandoci che la fedeltà non è mai solo questione di copiare: è tradurre, ampliare, respirare col mezzo che si sta usando. Poiché il medium è diverso nelle fondamenta, perciò a priori non può funzionare qualcosa se preso e trasposto da un medium all’altro esattamente paro.
Attraverso la valle
Questo secondo episodio della stagione 2 di The Last of Us è, senza mezzi termini, un colpo di scena calcolato al millimetro e probabilmente il momento più rischioso e importante della serie finora. La regia, la fotografia, il montaggio e le performance si muovono come in una danza tragica intorno a un evento inevitabile: la morte di Joel.
E proprio perché inevitabile per chi ha giocato, l’episodio si prende il suo tempo per ridare peso a qualcosa che il pubblico già conosce. Lo fa con intelligenza, non semplicemente “rifacendo” il gioco, ma ricostruendolo per un altro medium, con altri strumenti. Il sogno iniziale, il caos di Jackson, il ralenti sul colpo finale, tutto serve a dare profondità a un momento che nella memoria collettiva rischiava di essere solo shock.
Un episodio cupo, crudele e necessario, che pone sin da subito la questione: a fine episodio tu, spettatore, vedrai quella scena. Non perfetto (qualche passaggio, come l’attacco a Jackson, può sembrare forzato nella logica interna), ma indubbiamente uno dei momenti più forti mai visti in una serie tratta da un videogioco. E forse, anche per chi conosceva già il destino di Joel, più devastante oggi di quanto non fosse nel 2020. Stavolta non hai un controller in mano. Non puoi fare niente per fermarlo.

Voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto l’episodio di “The Last of Us 2”?